squarci holliwoodiani
sulla maniglia di una porta
stesa tra le ampiezze
d’un mondo esterno,
ansimo e deglutisco le parole,
incurvo la schiena e indietreggio,
l’osmosi di un pensiero svanisce
dietro alle impiccagioni di una farfalla
e dietro ai mille corpi di colori fluttuanti;
domando e mi domando ancora
il perché del mio esibizionismo astratto:
carne viva di una tempesta,
carni vive che si corrodono
e si ricompongono sotto il marchio del cielo.
(Ora vago con le briciole del tempo in tasca
verso la metamorfosi d’un sogno,
m’includo nel campo visivo di una nuvola
e lo distanzio dalle ore inverse del giorno)