"O Signor, sovvien tua divota serva",
diceva io tra lagrime e suspiri,
"che con modestia tua dottrina osserva,
e se conviene inver ch'io morte miri
onde evitarme una turpe rappina,
fia dulce il morir, che assai m'alletta".
così, mentr'era in plora e in prieghi china,
di fuor, da l'alto monte in su la vetta,
gran luce apparir vidi a la mia destra
e mutar notte oscura in chiaro dïe;
senza tema affacciommi a la fenestra
per saver qual nuovo prodigio sïe.
da ciel di stelle discender vedea
cavallier santo, d'armore lucente,
che d'un ippogrifo in groppa sedea,
e "chi vo' siete", addimandai piagnente,
"uom de carne o de Dio spirito muto?
ve prego, più non mi tegnete ascoso
se per mazarme qui sete venuto
e se m'attende fine doloroso".
"Sciuga", disse, "tue lagrime, o reina,
el brando mio, avvegnaché sangue prese,
allor che combattei in terra latina
né mai fanciullo né inerme offese,
e giammai non dolse ad un fior di rosa,
come pur d'altrui vile spada fece
e se qui son, è per ben altra cosa,
non furon vane tue accorate prece.
cavalliere me volse un dì l'Altissimo
e fui, per l'alto onor ch'ei mi concesse,
in perpetuo servo suo fidelissimo
né luxuria né oro l'anima fesse,
né odio, o viltà, o brama veruna
che tanto spesso in giuso l'om trascina,
non per crudeltà di ciel o fortuna,
ma pe' istolto peccar, che gli è ruina.
io fui Baiardo, defensor de Franza,
e finché vissi, e saldo stetti in sella,
con Cristo in core, et in man la lanza,
servire Dio volsi, e onorar mia bella".
"O cavaliere orante", mi commossi,
"ardito e bello ogni oltre misura,
lo tuo sembiante, ancorché mi fossi,
caro più d'ogni ben de la natura,
nol riconobbi, per virtù divina
che come face in adamante 'l sole,
assai lo cangia e ancor più l'affina,
sicché a occhio umano quasi il dole.
pregoti or che presto via me porti
da questo uomo scellerato e rïo
che sol può darme ferite e torti".
"Per ciò, domina pia, mandommi Iddïo,
perché ti togliessi a tua sorte acerba
e ti menassi adunque in mite loco
di cui tuo cuor dolce ricordo serba".
siffatte parole udite, un tal foco
m'accese il petto, ch'io di gioia piena
a lui rispuosi: "o cavalier gentile,
io dovunque tuo voler mi mena
se non ti fia l'amor mio ostile,
perpetuamente androtti seguitando,
e se pure tra un che morto appare
et una che viva, amor regnando,
sia lecito a nozze convolare,
per isposa eterna mi ti daggio".
"Quantunque ciò volesse dir morire?"
addimandommi 'l cavaliere saggio.
"Messer sì", rispuosi lieta, "el morire
assai più invero non me spaventa
ch'el non aver più tua dolce figura
innanzi, già che l'ho veduta e senta.
liddove condurrà tua sorte oscura
e notte e die, e 'state e duro verno,
ti andrò fedel seguendo ancora e ancora,
foss'anco infino nello nero inferno".
ciò detto, il destro piè sporgendo in fuora
dal davanzale, in sul grifo crinito
montai senza tema di alcun dolo
e poi in su, verso il cielo infinito,
spiccammo, stretti a noi, il folle volo.
la sfere passammo come ago in cruna,
indi per trovar miglior ventura
galoppammo innanzi in su la luna,
la qual del ben perduto tiene cura.
di lì, con dolce volto e amabil riso,
bayard menommi infino in Paradiso.
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