L'uso di un lessico peri-dantesco pretenderebbe la precisione assoluta della metrica. Così non è, purtroppo: molti endecasillabi sono stiracchiati all'osso e spesso si incespica in deca- e dodecasillabi che spezzano brutalmente il ritmo. L'idea di dedicarsi ad un linguaggio aulico è interessante (anche se incomprensibile agli ignoranti e superficiali lettori di questa epoca) ma andrebbe sviluppato meglio e con più severa autocritica. Ci vuoi provare?... Ciao! ;-)
ha un suo fascino, ed è sempre poesia supportata com'è da un bel contenuto
@guga probabilmente ha contato male, questi sono tutti, e dico tutti, endecasillabi, 11 sillabe, accento sulla decima, né più né meno. Forse non ha considerato le sinalefe, se vuole le insegno a contare correttamente
Mi duole che non mi faccia citare i vostri commenti, in ogni caso grazie per i complimenti, @Genziana @arturo
Grazie, ma so contare fino a 11!... Ad esempio l'undicesimo verso, per quanti artifici metrici si vogliano usare, non è (e non sarà mai!) un endecasillabo. Mi riservo l'impegno, con più calma, di fargliene notare altri. Mi dispiace che abbia voluto trasformare in polemica la mia serena analisi… A rileggerci!
Signore, conti bene: a/ fluir/ sanz'/a/mo/ri e/ gio/ie/ con/dan/na: undici sillabe, addirittura dieci possono essere se consideriamo gioia un'unica sillaba, il che è non solo fattibile ma usatissimo dai poeti antichi. In poesia una successione di sillabe è considerata, volendo, un'unica sillaba. Si chiama sinalefe, usata fin dagli albori della letteratura.
Non è questione di non accettare le critiche, ma mi pare assurdo essere criticata per una colpa che non ho commesso. Mi pare di saper seguire la metrica, di certo non ho studiato gli antichi invano.
"... alle spalle impietosa i giorni soavi,..." e qui quali artifici inventerà per giustificare l'endecasillabo?... Ho iniziato a scrivere sonetti prima dei vent'anni; a cavallo degli anni '60/'70 avevo una rubrica in prima pagina sul glorioso trisettimanale RUGANTINO; ad oggi avrò scritto più di 3000 sonetti in lingua e in dialetto romanesco (molti dei quali potrà leggere, se vuole, sulla mia pagina in questo sito): rivendico dunque il diritto di riconoscere un ENDECASILLABO. Comunque molti dei suoi sono stentati e difficilmente leggibili, ammesso che abbiano le canoniche 11 sillabe, a prescindere dagli accenti. La saluto e continuerò a leggerla con piacere senza ulteriori intromissioni o commenti.
al/le/ spal/le im/pie/to/sa i /gio/rni/ soa/vi = 11 sillabe, accento sulla decima, e anche gli altri accenti sono in ordine. Veramente non capisco dove lei veda il problema. La sinalefe mi permette di unire sillabe che siano in successione, lo iato di dividerle. Semplicissime regole prosodiche che fondano la poesia e senza cui la poesia non è fattibile. Io seguo l'esempio dei poeti antichi, come poetavano loro così altrettanto io. Mi dispiace, ma per quanto io mi sforzi non riesco a capire dove lei avverta questa stonatura. Si vede che non ha ancora assimilato la lettura metrica automatica. Io non mi invento assolutamente nulla.
La regola che lei cita (e che io conosco) si applica quando si incontrano una vocale in uscita ed una in entrata. Nel verso "... alle spalle impietosa i giorni soavi…" però lei tratta lo IATO di "soavi" come fosse un DITTONGO, di fatto riducendo il verso stesso di una sillaba. Sa che mi sta anche diventando simpatica?... ;-)
Mi scusi, ma lei che regole metriche sta seguendo? Io quando ho qualche dubbio vado a controllare esattamente i testi di Dante e di Boiardo, e loro non guardano sillabe in uscita, in entrata e chicchessia, quando c'è una successione di sillabe, sia pure "uno è il" quelle tre vocali la considerano tutte un'unica sillaba. Davvero, mi mostri qualche esempio concreto, di poeti antichi però, che dimostri che io sto sbagliando, e allora le darò ragione. Ma così arbitrariamente proprio no. Non mi pare che le sue poesie seguano nessuna metrica o schema ritmico. Soavi comunque è iato fuor di poesia, in poesia può essere benissimo unica sillaba. Come lo può essere "io", come lo può essere "poeta", "Beatrice", etc etc
Questione di punti di vista! Uno iato è uno iato SEMPRE e non quando fa comodo a lei! Però… facciamo così: lei rimanga nel suo Medio Evo ad inventare versi sbilenchi: io resterò qui ad alimentare, ammesso che ci riesca, la poesia MODERNA.
Letta con piacere anche se non sarei mai capace di scrivere e contare ahimé