sillogiovanile
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il primo testo di questa silloge porta la data del 1962, quando non avevo ancora vent'anni.
l'ultima è del 1968: sono stato un severo critico con la mia produzione giovanile.
ho salvato soltanto il salvabile!
lo stile non è ancora maturo, ma il dolore è già "un rullo compressore sull'angoscia catrame"...
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i
la catena dei giorni al ciondolo del tempo
la museruola dell'attesa ai denti dell'inquietudine
il lievito dell'inganno nel pane secco dell'avvenire
e il corvo dei ricordi dietro il cancelli
ii
trecentosessantacinque giorni che ti chiamo
urla di pietra
le preghiere mozze
nello stagno del silenzio
a onde concentriche stagioni si accavallano
sulle palme nude i chiodi impietosi dei "no"
iii
neanche al lupo fu data solitudine
ed anello dell'uomo è l'altro uomo
unitevi al nostro fragore
scaveremo profonde voragini
nell'immane montagna del tempo
iv
sui picchi della disfatta il sole delusione
sul tossico dei baci il viatico dell'addio
un rullo compressore sull'angoscia catrame
con quanta voce mi dici "Vai via..."
v
toglietemi il sole di dosso!
schernisce le palpebre
punge le membra
offende ogni riposto angolo di carne
la lama della luce
non vedete come sono insanguinato?
vi
la notte ci spia con miliardi di occhi:
non possiamo sperare di abbatterli contandoli
occorre piuttosto
con la gomma sole
cancellare dal cielo le stelle
vii
la notte sbava i limiti
il silenzio
sfiocca il tessuto labile dei sogni
àncora sei
nell'ondata feroce dell'assenza
viii
azzanno affamato
l'osso abbandono
la notte pulciosa
s'accuccia nell'alba
come cani – latrando
ix
abbandonato
sulla cima sfuggente dei giorni
stravolgo in ansie
smarrite certezze
angoscia trasparente dei plenilunii
x
treni fuggono in ansito febbrile
a barriere di vento ponti alati
petti d'acciaio il tempo non percuote
e non lambisce menti di cristallo
dissodate la terra dei poeti
xi
irride miliardi di soli roventi
la vetta
reitera assurdo il suo sacrificio
il mare
si pasce d'antichi irrisolti fonemi
l'abisso
il tempo
è un triangolo scaleno
xii
nell'istante dell'urlo
iridescenti occhi ci spiano dall'abisso
fatti d'acqua
torniamo a cavalcare nuvole sole vento
ma la terra
genitrice golosa
ci nasconde le ossa dall'insulto della luce
xiii
occhi calcinati avevamo ed assenti
da non riflettere il bagliore dei lampi
esplodendo da cellule gonfie
arroventava il tempo le bocche del sangue
invademmo il delirio
azzurra è la notte
ossa lucenti hanno i corpi di donna
da volte radenti si sfalda in anelli il dolore
moriremo domani
xiv
luce d'occhi affossata nei deserti
dimentica il martirio delle tenebre
funebre note sulla sabbia nuda
l'eco rischiara cupa degli spari
le guerre partoriscono le donne
xv
sono stanco di brucare cemento
e i cavalli non giungono ancora
quando verrai
troverai le mie scarpe sui sassi
xvi
al collo delle idee la mannaia del tempo
ai polsi della rabbia la catena del dubbio
da vivo
potrete inchiodarmi sui giorni
ma quando non sarò che compiuta parabola
le ceneri degli anni rendetele ai venti
pallido
scarno
instancabile urlo
resteranno le ossa
xvii
la sciarpa dell'aurora
al collo della notte
i carri funebri delle nuvole
passano ignari
ehi!, voi!...
ammainate il sorriso
hanno ucciso il guardiano dei fiori
xviii
per quante circonferenze ancora
possa rotolare la spirale lattea
riparatevi all'ombra dei miei versi
voi
che avete saputo perdonare Caino...
xix
trafigge le palpebre coi desideri il riccio dei giorni
trascina l'immonda libidine il verme della sazietà
i diritti dell'uomo
come milioni di cristi
mostrano miliardi di stimmate
xx
nel giorno aperto
come una carezza
sciamano sogni
la notte cadrà come un pugno
(guga
1962 - 1968)
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