Solo,
un involucro sta
assecondando il vento.
vuoto e robusto svolazza
di qua e di là,
attraversa vie,
raduna a sé
le piccole e leggere foglie,
tristi dell’abbandonato albero.
rumorosamente
gratta la terra
sulla quale spinge
la propria massa
di inconsapevole inerzia.
arriverà la folata
che oltre l'ignoto della vista
lo spingerà.
al momento
è qua
e sbatte
e irrompe
e scheggia,
porte e volti frastornati dal vento.
per chi cerca di prenderlo,
di fermarlo,
ogni capacità diventa vana.
e' così vuoto,
così leggero,
così spigoloso
e quel rabbioso vento è ancora là;
lo preme,
sembra acclamarne
la sua solitudine esterna
e ad esso si amalgama
in una vicinanza estrema,
tale da sentirlo
parte di sè.
chi si oppone,
solitario
può fare scudo, gridare contro,
ma niente ferma un vento
che proviene da lontano,
dalle viscere di macigni
che stanno sullo stomaco della terra,
nessuna parola si ode
nella tempesta,
solo solide mura
e alte costruzioni
in tempo di bonaccia,
possono evitare
che esso entri.
adesso però fischia,
ma non un fischio sublime,
non un'aria nuova
che fortifica l'animo
ma colma
di vecchie macerie.
edificare difficoltoso diviene
davanti ad un uragano
orbo di senso
che chiede ascolto.
non gridare contro,
lui sa gridare più forte
e l'involucro sbatterà ancora e ancora.
solo il profondo udito,
l'attenzione e il tenersi per mano,
ci permetterà
di individuare un momento
di calma per togliere al vento
l'affilata disturbatrice plastica,
per tornare a guardare più in là.
può sembrare strano,
ma se si guarda avanti
e non sulla luce appoggiata
sopra le mani,
più o meno ampio,
c'è sempre un orizzonte
verso il quale guardare.
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