Quando morirò, non serrate le persiane
della mia stanza; la luna vi passerà ogni notte
a lanciarmi coriandoli di musica
per farmene bracciali per i polsi
che tintinnino nel luogo del Silenzio.
quando morirò, non estirpate, per favore, i miei roseti,
nasceranno ancora boccioli di rose
come bocche d’infantile stupore,
come il profumo del corsetto di mia madre.
quando morirò, serratemi bene le palpebre
ebbre di luce; premete forte i vostri polpastrelli,
sulle cupole invidiate dalle Pleiadi,
sugli sguardi rapiti dal rosa dei mattini.
non vorrei riaprirli su di voi
che siete morti, ormai da troppo tempo.
quando morirò, custodite le mie carte;
sono larve di creature iridescenti
che a suo tempo si leveranno in volo:
sono rivoli sospesi sui deserti che abitate.
quando morirò,
sarà forse in un giorno d’agosto, come questo,
non toccate il mio corpo inamidato,
saranno rigide le braccia
che molte volte vi tesi
quando eravamo insieme tra i viventi.
affondate le vostre vanghe
nel mio cuore; vi troverete l’agata e il rubino,
lo smeraldo della speranza e l’ametista,
favi di miele e sangue di gabbiano.
sorrisi accesi e fervori d’artista.
quando morirò, non vestitevi di nero, non importa,
sono partita per un paese felice
dove il giorno s’è impigliato tra le nasse
dove la notte allatta stelle bambine.
dove il maestrale arpeggia endecasillabi.
quando morirò, sarà forse una notte d’agosto come questa,
quando le comete brillano di nuova iridescenza:
non ti affrettare, amico, alla mia casa:
un altro volto, non il mio, dischiuderà la porta:
io sono via, già alta sulle nubi,
io sono via, perciò non mi cercare,
io sono via, ho spento il cellulare.
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14 agosto 2006
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