Una donna molto anziana passa davanti a casa mia. Vestito e capelli in ordine, una piccola borsetta nera. E’ visibilmente preoccupata, si ferma, torna indietro e si ferma ancora. Immagino cosa succede: a un centinaio di metri da qui c’è una casa di riposo e capita, ogni tanto, che qualche anziano, facendo una passeggiata nel viale che passa davanti all’edificio, si dimentichi chi è e dov’è. Negli anni ne abbiamo riaccompagnati diversi alla casa di riposo. La vecchina mi vede nel giardino, si avvicina e mi dice, con voce agitata.
“Che ora è?”
“Le quattro, vive nella casa di riposo?”
“ Sì... ”
Apro il cancello e la invito a sedersi all’ombra del pino. Lei è indecisa, poi, timidamente, entra e si siede.
“Posso offrirle qualcosa da bere? Una limonata, una menta?”
“Mio figlio non arriva”
“Lo stava aspettando?”
“Sono tanti anni che lo aspetto, ma non viene mai. Oggi sono andata sulla strada per farmi vedere”.
Come sempre il contatto con una mente che si sta perdendo è doloroso.
Preparo una menta e gliela porgo. La prende, sempre guardando la strada.
“Se passa e non mi vede, non si ferma”.
“Non si preoccupi, lo vedrò io e lo fermerò”.
Mi guarda, sembra confortata.
Le dico, tanto per tranquillizzarla: “Ce l’ha una foto di suo figlio?”
Si illumina.
“Sì” e fruga nella borsetta. Tira fuori una foto in bianco e nero, molto sgualcita, e me la porge. E’ un bambino di tre-quattro anni con un testa piena di riccioli. La guardo e gliela restituisco.
Passano alcuni minuti di silenzio mentre assaggia la menta, sempre guardando la strada.
“Signora, devo andare in paese, vuole che camminiamo insieme sulla strada verso la casa di riposo?”
“Sì” . Mi alzo, ma lei rimane seduta e dopo poco si mette a piangere. Mi risiedo.
Lei si asciuga gli occhi e mi guarda, vedendomi forse per la prima volta.
“Non sono matta come quelli là” indicando la direzione della casa di riposo.
“Mio figlio deve arrivare davvero, me lo ha promesso quando è morto. Mi ha detto, mamma, quando sarai vecchia e dovrai morire verrò io a prenderti, così non avrai paura. Anche se andrai a vivere lontano da qui, io saprò dove sei. Aspettami. E io l’ho aspettato quando ero giovane e non avevo paura delle bombe e dei tedeschi. L’ho aspettato quando mi sono ammalata di tubercolosi e sono stata due anni in sanatorio. E poi l’ho aspettato, guardando in strada, mentre i miei figli crescevano e mio marito lavorava. Non l’ho mai detto a nessuno, ma oggi sento che deve arrivare, e sono agitata ma felice come non lo sono mai stata”.
Io non so cosa dire, sono molto colpito. Mi alzo. L’aiuto ad alzarsi e pian piano ci incamminiamo verso la casa di riposo. A un certo punto prendo coraggio e le dico:
“Può darsi che oggi suo figlio non venga, ma verrà, stia serena e abbia ancora un po’ di pazienza”.
la vecchina non dice nulla e docilmente si lascia accompagnare. Suono, lei entra nel portone, ma si ferma a frugare nella borsetta. Tira fuori la foto e mi dice: “Lo guardi bene, può avermi detto una bugia?”
Io riguardo la foto e dico: “ No, non può”.
Poi scappo verso casa con un nodo alla gola e mi ritrovo a guardare in fondo alla strada, nella speranza di vedere un bimbo con una testa piena di riccioli.
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