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Pubblicata il 09/09/2018
Il giorno seguente l’apertura de “la Pendola” fui
tenuto a rimbrottare Sisifo, sbarbato decisamente
privo di faccia foderata di lamiera ma venuto
come l’asino alla lira a farsi assumere umilmente.
con venti coperti a mezzodì e altrettanti a cena
abbiam la paglia in becco, anche grazie ai nostri
avventori abituali: il leguleio, segaligno e arrochito,
con un mozzorecchi col naso e il mento rostri
al solito tavolo, col suo scilinguagnolo sciolto
ad andar per rane; e al tavolo retrostante l’archivista.
la bella Isabella, esercente di ninnoli e minuterie che
dopo aver provato il dente del lupo, fa al piazzista
solo ordini regolari durante il pranzo; con indosso
sempre qualcosa col colore del suo nome e borgogna.
come la lobbia del primo cittadino che chiede sempre
un calice di Borgogna e sogna gli occhi terra d’ombra
di Fedora da cui vuol esser servito, la nostra cameriera.
gran lavoratrice dalla bellezza dell’asino, ma facile
ad andare in oca, fidanzata con un ragazzotto solito
a perdere i muli e cercare i capestri; un nobile.
spesso immischiato in imprese sulla strada per Patrasso.
e infine, con un borsalino ceruleo, in fondo siede l’artiere.
costui ha bottega a “la Pendola”: sta scrivendo del ponte
de La Lobbia, l’unico qui a far la zuppa nel paniere.
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