L’oscuro resto d’eco selvaggio
senziente arpeggia alato mogio
l’infinito a foggia di dimensione amata
sul dorso remoto del pensare incline.
l’ignoto sfiora palmo schiuso
tonfo sordo d’alcova felina,
miscellanea d’ore, tasselli d’altri empi
ove tempo schiocca disvelate ossa
sensi imbevuti d’intarsi e tradimenti
intermittenze dal mescere furioso
cartilagini d’odori, collane d’apatici fori
cascate gementi vendemmie
fin sulla lingua aperta a calle.
in vetta un solo colpo inferto,
furtivo, secco, il tuo al mio petto.
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