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Utente eliminato
Pubblicata il 10/04/2018
se ne lava le mani di ogni questione
con giochi d’astuzia senza porre ragione,
cangiante è il telo prima di farne buon uso
lordato e gettato come fosse un refuso.

al centro del fare si pone l’emblema
che in terza persona si rigira di schiena,
lanciato quel sasso lo stagno ribolle
dalla riva del lago fino su sopra il colle.

seppur Leopardi lo chiamò infinito
sull’aspra salita il sapere è svanito,
si pone canuto negli anni e vissuto
a libero impiego di un furor decaduto.

non vede, non sente, non parla è muto
ma servo di stato al volere compiuto,
ritrae e rinfaccia, ripone e corregge
è falso e spergiuro e non richiama la Legge.

in mezzo al guado i morti viventi
che nelle locande danno voce ai serpenti,
tra il dire e il fare ci sono tante questioni
basta una pinta a dirimer ragioni.

ma il mondo gira, rigira e va avanti
nessun realista a rimettere i guanti,
mi dicono a parte sono tutti fuggiti
il malloppo del tempo lì ha tutti arricchiti.

allora ricerco gli amici del canto
e l’unità che era sogno e vanto,
mi giro e ascolto una voce sottile
sono tutti sepolti sul freddo arenile.

l’Italia al secolo era certo un problema
rinnegava la vita questo era il suo tema,
ma sento il vociare non sono più loro
in pochi e spiccioli a ricercare l’alloro.

si dopo tutto siam tornati all’ovile
il popolo incerto, dolente e servile,
senza capire per amore o per voglia
che quella varcata è un’algida soglia.

le spalle son strette, ingobbito e ricurvo
il candido manto sullo sguardo assai torvo,
da Ponzio Pilato sei pane raffermo
becchino cercato per aprire l’inferno.

grazie di tutto per averci donato
un triste presente riesumando il passato,
mandandoci a morte e vendendo la sorte
bramando soltanto la sedia di corte.
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