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Pubblicata il 30/03/2018
Le perfide infiorescenze sradico
di un silenzio che mi scopre rudere
sguardo che vomita lacrime
sospeso tra ondeggianti percezioni.
dire non so ne mai saprò
di qual matita il dolore si serva
a conficcare la beffarda punta addestrato
dal mantello protetto
d’una composta indifferenza.
il desiderio di ancestrali emozioni
scalzo s’aggira
tra vetri rilucenti di solitudine
sorseggiano indebolite le mie dita
un foglio fradicio soltanto
di litanie di autocommiserazioni.
annaspo, forse affogo
nel brodo amebeo dell’incompiutezza
il grande intruso ha sol nome di respiro
rovente, talora insolente
come l’adagiarsi su un vesti to lieve
d’un ferro da stiro.
più non ha termine,
l’irriverente biondeggiar della luce pugnalante
di questa galleria di stanchezza,
chitarre frantumate
suoni espellono di fango intrisi
è la fine
di ciò che neppur potè chiamarsi inizio.
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