Si erge dal giaciglio
dell’erba tronca viva
il sussulto del tempo
avverso, lui a me stesso
ed io stesso al buco nero
di uno spiraglio chiuso
viscere e tenebra
richiamano attente
l'antica tromba fausta
di un sole spento e nero
che a bastonate cedette
orgoglio, pane e il niente
e dal ramo più fragile
di un faggio assente
decade inerme
l'ultima sonata
che dell'amore
ha perso
le chiavi
il pene
il resto
incudine e martello
si confondono arresi
nel sinergico battito
di un torace scarno
la lancia infuocata
ha penetrato gli usci
di un cimitero aperto
e decade ucciso così
anche il piccolo nido
delle rondinelle deste
decade poesia mia
povera all’osso smilzo
di un dizionario spinto
a mano nel giardino magro
tra la miseria di congiuntivi
e del vino scarso da osteria
che arranca se può nella spinta
di un utilitaria senza il grande slancio
luce gravita e in lontananza implode
il richiamo di un falco abbattuto grugna
È il peso enorme
nella stagione dei non ritorno
e indietro non si ritorna.
e il poeta furtivo che abita
nel seminterrato della mia carne
sta bruciando rauco di nottate a letto
notte è giunta.
il resto è fingersi colpevoli.
notte. È notte.
bastasse poesia
bastasse la vita stessa
ed io che volevo soltanto
felicità senza dazio a inchiostro
come poesia senza macabro concorso
come adesso
come di me stesso
un pettirosso al fosso
il dazio è
al doppio e del concorso
del concorso
è vita mia nell'esilio di un ricorso
dunque si che è
È vita mia
che brucia ardita
senza bugia o inganno
brucia solamente a voce sola
brucia e mi calpesta al sottosuolo
brucia e non rammenta del perdono
e questo..
questo assurdo
e questo è quanto.
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