il primo profumo di caffè che si espandeva tra le case addormentate
era quello proveniente dal mio cucinino.
mi alzavo sempre all’alba
per sorprendere con un sorriso
la prima luce e berne a sazietà
prima che fosse giorno.
la prima Luce rosata era avvolta in una placenta di brina:
io la riavvolgevo, con mani tremanti,
per riporta in cassetto segreto.
volevo precedere tutti e trovarti da solo.
volevo sussurrare e gridare mille volte il tuo nome
prima che orecchi indiscreti mi udissero
prima che occhi invidiosi mi vedessero.
le barche si dondolavano come cullate da braccia materne
sospinte dal vento leggero
era gradevole quella carezza leggera
che mi inviavi col tuo messaggero
a lambirmi la pelle,
per scacciare il calore della notte
che morbosamente indugiava sulle mie spalle.
baciami, baciami, con la tua lingua di acqua cristallina, invadimi tutta, riversati dentro di me, come dentro una voragine di carne perchè mi sento immensa, tanto immensa da poterti contenere.
ancora non si udiva voce d’uomo
e al ritorno, con le loro reti d’oro, i pescatori mi avrebbero chiamata “la donna del mare”
perché mi trovavano sempre lì, allo stesso posto
invaghita di te; tua vestale, tua ancella, e sposa.
orde di umani avevano lasciato le loro orme
sulla tua rena ed altre se ne prevedevano
in quest’ultima domenica di agosto,
che resterà scolpita dentro di me, per sempre.
una lama di luce fendeva la tua acqua trasparente
nel punto in cui baciavi la piccola darsena
e la solleticavi dolcemente
come usano fare le madri per sollecitare il risveglio dei bambini.
quel giorno mi donasti due conchiglie
come souvenir
le tenni a lungo tra le mani
guardandole con occhi ancora increduli.
ma fu una conchiglia fossile,
scolpita da millenni di carezze,
ad imprimere il sigillo al nostro idillio,
e raccontare di brividi alla pelle.
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