la vita è un patto inaccettabile che però non scegliamo di firmare, essere messi al mondo uno scherzo di pessimo gusto, 'la nascita il vero aborto' (cit.)
non lo dico io, e non occorre avere esperienze negative personali di particolare rilievo per pensarlo; le menti più lucide dell'umanità l'hanno sempre pensato. per un Leopardi che aveva la gobba, tanti altri sono giunti alle stesse conclusioni senza il pretesto di disgrazie individuali ma semplicemente perché si tratta di verità autoevidenti.
possiamo snocciolare, oggi, le concrete e storiche cause (evoluzionistiche, etc.) per cui è così, senza chiamare in ballo miti pittoreschi come il peccato originale o la demenza del demiurgo focomelico; ma questo non ci consola né per ora ci mette particolarmente in grado di risolvere il problema (nonostante il finale commovente delle Particelle elementari di Houellebecq).
ora, nella mia esistenza quanto detto sopra è vero in maniera particolare: non solo come precondizione generale insita 'e definitione' nello stare al mondo umano, ma in maniera specialmente e specificatamente acuta per ragioni mie. non importa che per altri possa esserlo 100, 1000, 100000 volte di più: non è una gara (quindi se io soffro il doppio di te non vinco alcun premio perverso, non conseguo l'esclusiva della sofferenza, rendendo te uno stronzo che non può permettersi di soffrire) e non è un gioco a somma zero (quindi io posso soffrire a livello 100000 e moltiplicarlo per dieci, o all'infinito se voglio, ma la tua sofferenza resta quella che è, e può essere comunque troppa, non tollerabile per te a qualsiasi stellare livello s'innalzi la mia: non c'è al mondo una quantità predefinita di sofferenza, per cui se la mia è molta ne consegue che la tua sarà poca, e dunque tollerabile).
ora, ho parlato di patto inaccettabile. lo è oggettivamente, mi par chiaro, ma basterebbe anche solo che lo fosse soggettivamente. se soggettivamente io non mi sento in grado di, o non ho interesse a, proseguire una corsa cui sono stato iscritto non per mia volontà, avrò diritto o no di ritirarmi? se altri che pure ha le gambe più deboli delle mie trova in sé un motivo per andare avanti a correre, lo ammiro sinceramente, bravissimo e santo lui, ma non posso inventare nelle mie gambe e nei miei polmoni una spinta che non c'è.
la santità non può mai essere un obbligo, sennò che santità è.
nella mia morale, uno dovrebbe sentirsi in dovere di rimediare solo ai guai che lui ha causato (e poteva evitare), o tutt'al più (perché non voglio negare l'importanza della solidarietà fra co-sofferenti) a quelli che pur non essendo di sua responsabilità egli ha il potere, la capacità di rimediare (es.: il pompiere spegnerà gl'incendi che non ha appiccato lui stesso, o che non sono scoppiati per una sua negligenza, perché avendo i mezzi per farlo sarebbe infame che non lo facesse). ma nessuno deve essere ritenuto in dovere di rimediare a problemi che né poteva evitare, né può ora risolvere.
[fra l'altro in questa morale il cinghiale di dio risulta il massimo colpevole: questo mondo è responsabilità sua, e se egli è onnipotente avrebbe i mezzi per aggiustarlo anche se non lo fosse. vecchio argomento della teoadicea]
questo però crea delle serie aporie, alla luce di quanto detto sopra. in un universo in cui tutti soffrono, e molti più di quanto sia non dico giusto (mai è giusto, neanche per i criminali: w il garantismo in politica, w l'apocatastasi in teologia) ma tollerabile, quasi mai uno può legittimamente aspettarsi che gli altri facciano qualcosa per la sua sofferenza, perché di rado ne hanno i mezzi e sostanzialmente mai ne sono i responsabili.
(questa è naturalmente un'esagerazione. il male evitabilissimo inflitto da umani a umani per futili motivi è palese: dalla più sanguinosa delle guerre al minimo dei gesti scortesi. io riassumo tutto questo nella categoria del 'cacare il cazzo', e sostengo che sia l'unico vero peccato, così come unica vera virtù è non cacarlo [tutte le altre virtù servono a lenire i danni quando ormai è stato cacato]. tra il cacamento di cazzo del risponderti male senza ragione, a quello di detonare missili nucleari su milioni d'innocenti, c'è differenza di grado ma non di genere.)
(ma resta il fatto che - al netto di quanto sia concretamente arduo estirpare i cacamenti di cazzo, che quasi mai dipendono da immotivata fumettistica malvagità e dunque a ben vedere trovano sempre una causa in circostanze difficilmente aggirabili - al netto di questo, dico, se anche li eliminassimo tutti, resta la quota di sofferenza irrazionale imprevedibile ineliminabile a cui ci condannano le invarianti fisiche, chimiche, biologiche etc. del mondo stesso - dunque la struttura dell'universo, dunque in metafora quel verme di dio.)
(e sono proprio quelle cose che - non essendo responsabilità di alcun individuo, né veramente salvo poche eccezioni rimediabili da individuo alcuno - da un lato nessuno dovrebbe sentirsi in dovere d'accollarsi [ché altrimenti sarebbe nei suoi confronti ingiustizia somma], dall'altro non perciò diventano tollerabili a chi ne è portatore. così, tutti perdono. e la solidarietà non risolve nulla quando diventa un obbligo morale a priori senza che ci siano i mezzi concreti per attuarla; perché, come capì Nietzsche, solo chi è ricco può donare, e l'imperativo cristianoide di beneficare altri quando tu per primo non sei nella situazione di farlo non giova a loro e fa solo sentire peggio te.)
insomma io sono in una situazione che non posso né accettare su base filosofica, di principio, né comunque sopportare oltre a livello concreto.
non seguo alcuna ideologia (cristianesimo, stoicismo, etc.) che raccomandi di accollarsi in questo mondo sofferenze ingiuste sulla base di presunte ricompense altrove. non la seguo perché quanto i sensi e il buonsenso suggeriscono e la scienza conferma nega l'esistenza di qualsiasi dimensione sovrannaturale in cui la presunta ricompensa avrebbe luogo.
molta gente che la pensa come me (e sono non a caso i miei eroi culturali: perché da princìpi corretti non può che discendere una produzione artistico-letteraria convincente, che coglie nel segno) la mette giù così: proprio sapere che il mondo è una causa persa ti libera, ti giustifica a viverlo un po' come ti pare, può persino dare una sorta di ebbrezza.
rispondo loro: vero, ma solo se appunto tu lo sai come cognizione generale, che il mondo è perso in partenza. se lo sai perché tu direttamente ne fai esperienza, cioè perché soffri come un cane e vivi incastrato in un incubo, tipicamente sei nella posizione in cui non riesci a goderteli nemmeno per l'ombra del cazzo i frutti di questa tua sprezzante consapevolezza.
quindi voglio sapere dove si comprano le lupare per spararsi in bocca.