osservavo il mondo dalla terrazza,
quando i miei occhi,
andarono a vegliare un parco giochi
tra le risa dei bambini e l’odore fresco
di un pino maturo.
mi riconoscerei tra mille.
ero l’ombra di uno scivolo
bagnato da sottile pioggia.
ero mio padre che tagliava l’erba
e la sua schiena ricurva dal tempo.
ero il prete che mai ascoltavo
che dimorava in chiesa al vespro autunnale.
ero il primo bacio,
rubato ingenuamente sotto il sole di maggio.
ero tutto ciò che persi da tempo nel tempo.
rividi mia madre dalla finestra di un condominio
intonare un sorriso,
e le lacrime scavare l’amore intorno ai suoi occhi
come pioggia che fende gli ulivi
ed i suoi frutti.
era turbata, forse perché
mi lasciavo crescere non più
tra i suoi seni,
ma tra l’odore del ghiaino, sporco
come adesso il mio volto
che si improvvisa indiano d’occidente.
non era ancora sera,
e scorsi da lontano
un uomo che sembrava venirmi incontro.
era magro ,era cupo,
e la sua pelle dorata
era talvolta bruciata dal sole
come resina screpolata da intervalli stagionali.
“Nonno” gridai,
ma non feci in tempo,
si lasciò morire prima che potessi sfiorare il suo ricordo
che adesso lento
si rabbuiava nella mia mente.
sorrisi, perché percepii
lo sbocciare di un bucaneve in montagna
come da prova del suo passaggio terreno.
si fece sera,
e senti il sangue dei miei inciampi
divenire crosta, mentre al mio fianco
una lucertola spari nell'erba come
una voce in mezzo ad una folla.
guardai i miei occhi nel riflesso di una pozzanghera.
mi scoprì cresciuto.
poi il vento portò via i pensieri
e ritornai in terrazza
a contemplare il parco.