Un tempo cantai,
la melodia scorreva veloce
vento tortuoso in mulinelli di nero e pioggia.
sapete,
quando cadde il cielo
niente lo arrestò se non il canto
che scivolò come farfalla fra le dita
capite?
oh! voi che ne udiste il tremore ceruleo
il lento fluire del suo scolpirvi la pelle
e la carezza d’indicibili suoni,
dell’anima naufraga che raccontò
quando dall’alto delle torri gli Angeli
sussurrarono i segreti dell’eterno ritornare.
una volta regalai
fiabe deserte alla memoria
riannodandomi al filo del respiro
e fui corda, roccia, acqua nel palco
sul rosso dei sipari,
aprendo le braccia per portarvi in me,
e narrando la vita
tradussi in suoni ed echi il suo passaggio.
allora la udiste ululare le sue strette vie,
di preghiere e urla a un dio remoto che non sa
del canto,
del pianto
dell’amore che ci lascia afferrare il tempo di un sussurro.
fu allora che la presenza fu l’ombra,
e il richiamo notturno dell’allodola
si fece cattedrale d’ineffabile luce
che il sale delle lacrime divenne mare al tramonto
e solo allora capii d’essere suono e vento,
calore intimo del mio canto risonante.
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