Un’estate di primavera nei luoghi dei miei silenzi;
leggera perché possa respirare la vita e misuratamente pesante
ché da una via all’altra insista il costante rimando:
una cicala e un’upupa,
l’upupa e la cicala
una cicala e un’upupa.
…e potrei sentirmi solo sotto il sole che brucia,
potrei sentirmi inerme nel vederlo tramontare oltre il colle
e nella notte trovare i nodi di ogni giorno,
incapace di scorgere la grande trama di un sogno.
Ma tutto si dissolve con una figura appoggiata ad un muro
e le fronde e un tetto e un abete e un bianco di luna,
una visione uniforme s’un prato in uniforme
dove l’universo si perde e vive con una formica e un passo.
.A.G.
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