Tra le stelle di pan di zucchero
ti sporcavi le dita; il bengala che
custodivi come un fratello riversava
la ciotola inquieta a pochi palmi
da te.
allora non c'erano i programmi di
cucina, la notorietà era sudore e
“panza dura”;sveglia alle sei, e pulizia
del piano di lavoro. Sempre che il
commendatore di turno non ti spedisse
a svuotare le urine lasciate in campo
dai commensali.
Surrogato di agrumi sparsi, e naselli
su una couvre di carciofi;
ti dissero “ben fatto”, e ti rispedirono
a preparare le cosce di pollo in salmì.
però da quel momento procedesti da solo;
t'imbarcasti su una nave che avrebbe fatto
il giro delle Americhe, col disappunto della
intera famiglia.
tornasti che avevi un nome, e soldi a sufficienza
per demolire i rampicanti della fame.
ti premiarono; i menù a ridosso della tua
figura, si riempirono di stelle e pollici
insù.
Eri Chef adesso, e potevi presentarti ad
ambasciatori e capi di stato, scherzando
nel tuo dialetto, ricevendo sempre una risata
per risposta.
capitolasti anche tu, un giorno,
ma senza magoni, né sviolinate di rito;
su un vassoio avevi fatto accomodare
per me una lettera a trama colorata,
che altro non era che un sottile ritaglio
di marzapane.
e tu sapevi che mi piaceva tanto.
(A mio nonno).