PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 26/11/2002
Che vanno cercando da uno sguardo
assonnato, due o tre raggi sì tanto
nostalgici, per non trovar conforto
se non al primo mattino, passando
qui e là, tra i buchi d'una serranda?

Dapprima sembri disorientato,
poi le nuvole, ancor più giù di ieri
miri in silenzio. E neanche pensi;
Infine un gallo canticchia senza
un perché, senza voglia, nè melodia.

Un unico motore si perde nel tempo
E lì è sicuro: "mai più tornerà".
Laggiù le campane che suonano e forse,
lontano, un cane che abbaia.

E' vero! Di sera, qui e solo, dinanzi
ad un vetro, giardini di luci, appaiono
su questa collina, ed io da nudo,
- che so: il vento, il vetro, Natale -
le guardo, ed il ricordo mi assale.

Non è memoria, è l'ossessione
che mi riporta lontano, lontano,
giungendo da te. Quando era sudore,
ansia, fiato stampato su quella
finestra, mani nei nostri capelli,

e intimità di mille anni prima,
ferite inattese, dolcezze mai
comprese. Non poca roba. Fanno
male questi attimi qui passati:

dall'altra parte della collina,
sul fronte opposto della stessa
storia, laddove il pensiero
rimane pensiero e parole

insensate, e l'agire neppure
è esistito. E tu invece ridevi,
parlavi anche d'amore e di morte,
senza neppure saperne poi molto.

Così, vagavi per piazze a me care
al grido di arte, poesia, libertà
e subito - giù, e là - via per nasconderti
più per pudore che per necessità.

Vestitino rosso, infangato,
ombra che mi assale nel buio.
Che la gente ti calpesta, corre
e va dicendo: "Io non so niente".

Vestitino rosso, insudiciato,
da tempo ti cerco, e dove nascondi?
Forse che il vento ancora ti porta:
marciapiedi e città, e nessuno ti bada.

Vestitino rosso, che adesso un po'
ti capisco, o così almeno mi pare,
e se sbaglio il silenzio mi piace, poi
semmai pian, piano: sospira,

dacché è triste - da soli - dover affrontar
l'insensibile logica di queste
dottrine; che mi par ricordare così:
dapprima piangesti e l'attimo dopo
per sempre, peristi.

Piuttosto: queste luci sono fioche
poi le vedo lontane, e le nuvole
rosa, e quest'alba tutt'altro che chiara.
Però, forse m'inganno o forse, chissà.

Poi questi lenti orologi, battenti
al rumore d'una manciata di soldi,
del vuoto di volti e parole
e luride mani al cielo elevate,

corrodono l'animo, ed è meglio
se taci.

Moristi così: oltre il colle,
senza tramonto e nè sole
laddove il cielo tocca la terra
il pensiero sospeso tra vero e finzione,

la parola tremante; tra guerra
e non guerra.
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particolare ma intensa ester

il 26/11/2002 alle 17:50