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Pubblicata il 09/11/2013
Questo è un mio scritto di qualche anno fa, destò scalpore allora, dopo la sentenza di ieri che un pool di giudici ed assistenti sociali hanno deciso un orfano in più, m'accorgo che non è cambiato niente in questa nostra Italia in mano al potere gestito da pezzenti.
no, non mi va di chiamarti Esse Pi, troppo freddo in quel diminutivo, quando ritengo che il gelo, per quanto l'hai subito avresti potuto venderlo al mercato, se solo qualcuno si degnava di comprarlo, se solo qualcuno avrebbe avuto la compiacenza di alleviare le tue pene. Cercando di immaginare ti chiamerò Sabrina, forse perché è il nome di una mia vecchia amica, una delle poche che non mi hanno mai tradito. Scusami per il "tu", lo so non ci siamo mai conosciuti, ma che importanza ha? Potevo considerare che esistessi, avresti potuto pensare che io, esistevo; non è andata così. Amen. Non posso neppure sapere se adesso mi stai ascoltando, se, e da quale parte stai urlando i tuoi rancori, oppure hai asciugato le lacrime dal tuo viso. Avrei mille domande da farti, mille quesiti già sapendo che nessuna risposta uscirà dalle tue labbra; ma perdona la mia testardaggine se almeno una tra tante, vorrei sottoporti: Cosa vedevano i tuoi occhi, Sabrina, quel giorno?
forse le bugie che hai dovuto ingoiare dicendo si con la testa, ben sapendo che erano solo parole regalate a chi, come te, a quelle menzogne s'aggrappava come un naufrago attaccato ad una tavola, ultima difesa di una nave affondata. Forse i soprusi, le angherie subite quando neppure il necessario ti era permesso perché i soldi in tasca non c'erano, o quei pochi non bastavano a pagare l'affitto, a ridare luce alla tua casa, a riallacciare il metano. Chissà se ricordavi la fila infame a quello sportello, dove tutti sembrava guardassero te e invece erano solo altri disperati, e tu con la catenina d'oro in mano strinta, come il giorno lontano della Prima Comunione; Banco dei Pegni, Monte di Pietà, ma la pietà aveva smarrito l'indirizzo della tua via, e quel giorno ti mancava il latte... E non c'era più nemmeno quel bimbo ad alleviare le tue sofferenze, quel pargolo biondo che era la tua ragione; per lui non importava se barattavi il tuo pane per un biscotto, se rammendavi i vestiti per una sua tutina, se pulivi una scala in più per comprare un quaderno. Erano lievi le tue fatiche per un suo sorriso, per un bacio, per il sentirsi chiamare Mamma. Chi era mai quella giovane donna, arrogante del suo pezzo di carta, quando bussò alla tua porta? Che sapeva lei delle tue umiliazioni, tutte purché tuo figlio crescesse sano e forte? Assistente Sociale ti disse, assistente di che? Quando mai ti aveva assistito nelle notti insonni, trascorse a meditare sull'inventare il giorno dopo? Dov'era, quando avevi fame? Oppure quando anche le medicine, erano troppo care per te? Che conosce lei della vita, quando gira al contrario? La sua faccia ti ricordava volti già visti, le sue parole già sentite in quei vedremo, faremo, troveremo... E adesso stava davanti a te per osservare, giudicare, dedurre, e tu con la voglia di prendere a schiaffoni quella ragazzina viziata dal suo diploma e con la volontà di leggere il suo nome sui quotidiani magari, lei pensando, pure un'intervista ad una tv di merda locale.
quel foglio firmato senza sapere, quelle urla nelle scale, il pianto di tuo figlio che qualche giudice aveva deciso che una nuova mamma, con i soldi, è migliore della sua; la casa vuota, il silenzio, neppure le tue più belle parole, il tuo pianto, niente è bastato perché non ti strappassero la vita. Che cosa vedevano i tuoi occhi, Sabrina, quando hai aperto la finestra dal quarto piano di Via Ferraris?
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Triste la vita ai bordi della vita. Uno scritto pesante. Grazie.

il 11/11/2013 alle 03:02

Seducente prosa di poetica vita!

il 06/12/2013 alle 22:51