Non vedi la mia anima testarda
che fa collane di parole, e stacca
piume alle oche prima di mettersi
a dormire?
consegno al ventilabro il grano corposo di una vendemmia morta
nell'estasi di un bacio,
al riparo da gufi e cornacchie, dalla spinta intrusione dei
gitani.
comprendi la mia maniera di amarti
numà?
capisci la condanna degli astori
costretti a planare di ramo in ramo,
a svernare da soli in una rimessa
zeppa di coperte e ventagli spezzati?
e' così, ci sono tanti modi di amare,
numà.
ma la sofferenza è sempre un tacito
ritorno che smuove a tappeto le stagioni,
gonfia gli alveari di polvere e alimenta
le acacie nella lordura di un seme bilioso.
cerca di avere sempre fame, Numà.
non essere mai sazia, nemmeno di te stessa.
e tenta se puoi di ricordarti di questo
laconico mastro, rimasto impigliato
fra i lecci allampanati, e i sepolcri
concimati dal vento.
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