Nelle ore dell'assenza la mia mente vola, rinchiudendosi in un guscio dalle pareti oscure. Rannicchiato, a capo chino, incapace di difendermi da questo dolore che avvolge i miei pensieri in un fazzoletto di memoria, ieri, mamma, ho pregato per te. Sono passati trentuno anni ma io sono ancora troppo figlio in questo mondo dove, scivolare, è più facile che camminare. Porto nel cuore le parole che vergai in un foglio la notte dove la ragione perse il senso della vita, non stare a piangere per me, scrissi, dovunque tu sia non confonderti tra il mio dolore. Non percepisco più nessun odore e l'inedia ha preso il posto della passione, continuo a camminare ma i passi sono diventati incerti e in questo malo vivere rido sguaiato per non darlo a vedere, la fragilità è un peccato da scontare, ripenso ai sogni tagliati dalle lame mentre nelle tasche, un vuoto, ripongo. Figlio con figli perduti, solo questo nel buio di un cielo nascosto mentre gli anni sono saliti nel treno verso la stazione dei bagagli smarriti, dove non riprenderò la vita, troppo sciupata per ripeterla ancora.