Sarà normale desiderare
altro da questo schifo,
qualcosa per cui sognare
o almeno fare il tifo
e vado con il ricordo
ai primi anni di vita,
anni che io non scordo,
di un'energia infinita.
erano gli anni Settanta
e l'operazione nostalgia
di dolcezza né da tanta,
ma che amarezza, la mia,
pensando a come eravamo
e a come siamo diventati:
è come se a un infido amo
fossimo rimasti abboccati.
l'amo del finto benessere
che infine ci ha fregato,
dell'avere, non dell'essere,
che Fromm aveva preconizzato
e mi viene pure il dubbio
se convenga tornare indietro:
decido per la fuga dal buio
per una luce non di vetro.
e quindi ascoltando la radio
m'immergo in quelle atmosfere:
così, al posto del mio armadio,
me ne appare uno di altre ere
in cui avevo diversi vestiti,
diverso ero io che li portavo,
in cui le lotte erano riti
e nessuno si sentiva schiavo.
gli anni insomma dell'impegno,
ma anche di un sapore intenso,
anni che sono come un pegno
per vivere in modo più denso
spendendosi in prima persona,
non delegando per menefreghismo,
anni che per me sono un'icona
contro l'attuale qualunquismo.
ma torneranno quei cantautori,
le radio libere, certi fumetti,
il cinema che era degli autori,
la passione fuori o sotto i tetti,
la voglia di cambiare il mondo
che oggi fa scrollare le spalle,
metterci la faccia, andare a fondo,
non l'odierno grattarsi le palle?
e d'improvviso il telefono suona
e mi scrolla dai miei pensieri,
s'è fatto tardi e io, alla buona,
esco per fare il lavoro di ieri
ma mentre parlo sono come assente,
mente e cuore son da un'altra parte:
non mi rassegno, sarò deficiente,
amo quella cultura, quella era arte.
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