Casca il mondo,
casca la terra
ma se casca una stella?
Se casca una stella
la riattacchiamo con la colla
sul blu di una magnitudine apparente
ritaglio svasato di un cielo di cartapesta
che ognuno pensa vero
sino a quanto crede
lontana e impalpabile
la stella dell’ultimo confine.
Ignari delle mani degli insonni sulle corde,
loro gli eletti
che tirano il sipario
quando il giorno
cade sfinito.

Piano, piano,
lentamente
ritirano il giorno
per mostrare la notte.
Sfiorano le funi le dita all’arpeggio,
evitando gli scossoni,
prima che anche la luna cada
si ritrovi a camminare a carponi
su questo pavimento illuminato da luci intermittenti.
Cadono le stelle
e non è San Lorenzo,
non fa caldo,
non fa freddo,
non fa niente.
Ho le stelle ai miei piedi
agonizzanti a gara,
mi muovo lenta
per non calpestarle.
Le più luminose le riattacco al velluto blu del cielo,
quelle che lampeggiano
le lascio finire
lì dove sono atterrate
durante il loro ultimo viaggio.
Scelgo chi deve vivere e chi deve morire,
la speranza non è bandita da questa stanza,
ma non esiste accanimento terapeutico per una stella.
Sono sogni di pietra
quando smettono di bruciare,
di brillare,
è il loro stesso peso
a impedire il ritorno in volo dall’amato cielo.
Per ognuna c’è una preghiera
e una copertina di lana,
per ingannare il freddo e il buio che le sta per inghiottire.
Qui, alle porte del cielo, sul sipario del mondo,
non si ramazza la polvere di stelle,
si accarezza ogni singolo sogno
sino alla fine del suo tempo.
Bevo in solitudine l’ultima lacrima,
che mi appanna gli occhiali
mentre rimonto un mosaico a pezzi
di costellazioni al collasso.
All’arrivo del giorno
parabole di lenti a contatto
mi cambieranno gli occhi,
nella definizione dei dettagli
perderò la coscienza dell’indefinito,
e crederò anch’io ad un cielo sterminato
illuminato da un sole eterno,
senza vedere mai le mollette che agganciano
il telo al palco.