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Pubblicata il 02/12/2012
Un adagio di passi lungo scale atone,
note di nebbia si sperdono bianche
e il campanile cerca il sole.

Illusioni vertumnine scompaiono
divorate dagli aghi del vento
e melograni sperduti esalano sordo un grido:
teschi appesi a veglia di finti misteri.

Ghiaccio in quell’acquitrino esile,
Novembre è morto ed il passato risuona
con la voce del futuro don, don di campane.

A.G.
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Una libera e personale sequela di note che accentuano la danza del tempo. Una luce ricerca l'animo umano che confonde l'esitazione di un momento nell'attesa di un onomatopeico " don " di campane. E su tutto la presenza di un dio a soggiogare le stagioni.
Buon lavoro di riflessione e di analisi lessicale.
Ciao.

il 04/12/2012 alle 15:55

Ti ringrazio sempre Decio, i tuoi commenti riescono sempre a delineare aspetti che nemmeno io ammetto conosco dei miei lavori...
questo mi riferisco sopratutto alla parte finale del tuo commento riguardo il dio soggiogatore...
Sinceramente non speravo in così alte riflessioni,
il senso del mio scritto in reltà voleva sottolienare come spesso le fasi della vita, del tempo, nonostante si succedano possano assomigliarsi, se non assimularsi l'una con l'altra...
Ancora grazie, sempre un piacere leggere i tuoi lavori, e scambiare opinioni con te
Andrea.

il 06/12/2012 alle 19:17