Inghiottito dalla nebbia il borgo dorme.
Dall’alto colle mira nero il castello,
ombre di cipressi dondolano tra i vapori
e ’l migrare da oriente a ovest di corvi infiniti
porta il silenzio del lago lontano.
Resina d’aria sull’alloro morente si posa
come il silente felino sull’ignara preda.
Occhi di luce sospesi sfocano di passo in passo,
umido e freddo geme il selciato.
Non più l’ardere rosso e cupo giallastro del tramonto
ma il grigio d’anime perse in strade di verde pianto.
Il crescere d’edera su mura dalle ruvide voci
delizia i suoni di visioni tra l’oro di aride campagne,
il rugginire di cancelli invasi dal tempo di case senza momento.
Momento di gioia, di pianto o riflessione di pensiero.
Dal morire della via nell’infinito nulla
avanza in abito grigio una donna dalle dita bianche,
sorride e muove il fine crine d’ebano…
scompare nei vapori d’un mondo senza orgoglio.
Giace in pietra di muschio nero il redentor piangente
e di quella lacrima mai toccherò l’umido triste amore.
Su al castello non muove suono umano e solo campane
sussurrano tra l’ombra e l’ignoto vedere d’oggi;
qui il morire dello sguardo sulla cima del piccolo borgo
nell’algido abbraccio del vento che spira
in vortici di corvine piume d’animo silenzioso.
A.G.