Rosso era il vestito luccicante suo, occhi i suoi
verde smeraldo,la bocca sua poi ben formata,
labbra fiammeggianti, con inganno quella lo portò,
almen così credea,quel dì con sè alla casa del piacere,
nell’ampia stanza giunto di marmo le colonne vide,
figure dionisiache di menadi d’alloro incoronate
e satiri caprini danzanti voluttuosi e lieti alle pareti,
a terra poi dovizia grande di tappeti dal vel pregiato
arabescato, divani poi di fine seta aurea purpurea
rifiniti finemente,invitanti infin coppe e tazze di metallo
fino, fuor qual manici ornamenti a mò di fallo, dentro
della vite colmi dell’inebriante dolce asprigno alla bocca
sì gustoso succo. Così lì nell’estasi dopo il primo sorso
di quello ben gustato, mentre già pronto, dal vigor
dal rosso licore che stolto si credea tratto, all’ardente
agognata dei voluttuosi sensi d’amore dolce pugna,
tardivamente si scoprì, giunto un torpor e una vista
corta sorta, misera preda poichè scoprì che falso
era di Venere l’agone.Triste delittuoso fu l’inganno che
di novella Circe capì della magion la soglia aver bensì varcato,
la cui magia tramutò poi di colpo quel primitivo suo vissuto
incantato incanto,che di tutto agli occhi suoi si mutò d’aspetto:
ferree di rovente fuoco le colonne, orrendi infernal mostri
lì in attorno, strame letame di contorno, infin qual sortilegio
per l’ingannevol pozion finì in vacca lui stesso trasformato
e su sudicio lurido di sterco pagliericcio di lei, rosso il mantello
occhi di bragia alla bocca nera, schiuma bavosa, in foggia
di furente bronzeo toro l’onta subì di un fatal, ben diverso
da quel sognato e sperato iniziale amorevol dolce, amplesso.
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Spesso dimentichiamo a casa quell’erba moly che Ermes ( Mercurio)
aveva dato ad Odisseo ( Ulisse) per sventare le malie e i sortilegi della maga Circe.
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