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Pubblicata il 09/12/2011
Tutto iniziò con i citofoni:
si premeva una lunga nota ubriaca
anticipando i virtuosismi di Sid Vicious
e poi di corsa verso il buco nero d’un rifugio.
Vennero quindi le partite a carte in capanne infami
sopra gli alberi: era cuore di tenebra d'estati periferiche,
con sudore che sgorgava dai piombi e dalle accuse.
Infine sfide sui dossi dietro al poligono di tiro;
volavamo verso un nirvana di benzina
e fumi neri come se fossimo stati
angeli a due tempi, e le
ginocchia nostre non furono
mai piú le stesse. Demolimmo bottiglie
con le pietre; rubammo moda inutile dalle vetrine
che tentavano e poi negavano; la televisione
ci uccideva; noi uccidevamo la televisione;
i capelli mutavano come cancri; nelle
pieghe delle unghie ci spuntavano
rimorsi che venivano rimossi
con il cambio di stagione;
e si finiva nei bar a giocare
con flipper vorticosi che sparavano
assurdi suoni patafisici. Imparammo ad amare
la pubblicità, ma lei non ricambiò e lasciammo perdere.
Mai imparammo invece a crescere. Siamo ancora
che tentiamo davanti ad uno specchio, o
la notte prima di dormire. Si contano
le donne mancate, quelle avute,
i fallimenti, le vittorie,
le risate, i balli fatti, i pugni presi
e quelli dati, le volte che ci siamo schiantati
contro un albero, le rughe che ci siamo guadagnati,
il tempo perso, quello vinto, poi si somma il tutto
e nei giorni pari il risultato è sempre meno
degli anni che realmente abbiamo.
Meglio invece non parlare di
cosa capita negli orrendi
giorni dispari.
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