Nella fotografia dello stato di grazia
non è contemplata la gazza ladra
ed è scomparso improvvisamente il gioiello.
Gli attori rivolti al mistero guardano verso un talento
che forse non hanno, forse nemmeno si amano
ma, come se si amassero, immaginano intrecci di amanti
che fottono senza stare a pensarci troppo,
immaginano che quello strano nodo
non sia né un tempo né un luogo
degli occhiali a specchio, il lobo
asperso di un orecchio,
il suo orecchino, il morso
nel giusto posto, la metamorfosi
del tocco in liquefazione, lo scioglimento del vuoto
(qualche tempo dopo che lui è entrato
improvvisamente riempiendolo
e, come se non bastasse, in silenzio).
Molto tempo dopo che lui è entrato
uno studioso del gesto
ricama sul senso in cui si sono stratificati gli occhi
ci trova allusioni e illusioni
e una sorta di primitiva lingua che inizia
ruvidamente a strusciarsi, dove reazione e vita
le rispondono, o dove i piccoli sfioramenti del discorso
scorrono, facendo il mare grosso e fragili
gli argini, ma immaginandoli
onda e roccia, trova più facile separarli
dallo schermo effimero della nudità dei fatti
e, l’uno sull’altra impressi,
comincia a spolverare i resti
fossili dell’amore iniziale:
due valve e forse nemmeno una perla.