Angelo nero
Besto, o Trigie? Amici miei diletti,
venite a me che sono lercio e stanco.
Torni con voi l’amore dentro i petti
e non colei che ancora mostra il fianco,
mentre stringe i figli suoi silenti,
lasciandomi, matrigna senza cuore,
solo disprezzo e parole cocenti
dal suo turibol seno carco d’odore.
Piangi, ti prego, o mestatrice madre.
Vieni una volta ancora con amore
e dammi la pace che negasti al padre.
Il mio sangue è un ribollir d’ardore
quando in mente ritorna a svelarsi
il bel viso. M’assale però il tormento
quando sento tutti i respiri placarsi.
Allora le prendo la mano, mi pento;
la sfioro, ma ribolle e s’oscura
per lasciarmi più cupo e silente.
E tu notte, di cosa hai ‘sì paura?
Sono io, il tuo morto vivente!
Stringimi con quell’arcana forza
che fa di me la tua seconda ombra.
Sento l’amaro in bocca che smorza
ogni vigore e tutto par che adombra.
Come la mano stringe l’altra in pugno,
così il mio male s’avviluppa al bene.
L’anima, che affanna in tal mugugno,
a poco a poco il cor non più sostiene.