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Pubblicata il 10/08/2001

L’amavo così come un angelo può amare il suo Dio, però come un angelo al quale avevano bruciato le ali. Quell’amore si trasformò in rabbia, la rabbia di chi, non abituato doveva abbassare lo sguardo, nel tentativo disperato di nascondere le urla deliranti del cuore.
La lasciai alle spalle, con le sue grida che promettevano l’addio definitivo, la lasciai perdendo quella parte di me migliore, quella strana zona indefinita dell’anima, quella che si estende fra gioia e dolore, con quella certezza che mi torturava già un attimo dopo: i suoi occhi.
Gli anni, le stagioni, passavano, incuranti dei sogni e delle promesse che lasciavano dietro, sempre pronti a cambiarti profondamente, col sadico giuramento che alla fine avrebbero vinto loro, ma nulla né il tempo, né gli eventi mi liberarono dei suoi occhi. I suoi occhi sono ancora spettri inquietanti, vortici rullanti per la mente, clessidra truccata, ricordo senza fine, frecce avvelenate contro il bersaglio del mio cuore.
E ora mi sembra di rivedere la sua immagine, mentre la lama affilata della memoria incide i lineamenti del suo viso sullo schermo della dignità, mentre la sagoma del suo corpo fa da ombra sul muro del desiderio. Ma sono sicuro che un giorno aprirò le porte del tempo e gli strapperò gli attimi che ci separano.
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