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Pubblicata il 15/01/2009
Notti di stoffa ti premono stretto;
il battito stinto, la veglia ulcerata.
T’accorgi dei solchi che ruggiscono
d’ansia, ma intanto guaisci in seno a tua madre;
“Sta zitta. Non mettermi fretta.”

Luce, gli altri ti domandano
luce che prosciughi gli alveoli
da ogni pena furtiva.

Pensa pure.
Intanto che pensi, significa che temi.
Il collo torto dell’edera,
il buongiorno del collega maritato,
la vipera che convoglia fra le vene.

Come un prete che
ha sconfessato la sua missione,
ti alzi dal letto e indossi l’abito
vecchio.

Ricominci a vederla.
Torni a crederle, a stringere
Cenerentola per la vita.
La porti al grande ballo, ti sorride
le regali una carrozza, quindi torni a casa,
brandendo la disillussoria pozione
del giorno innanzi.

Dove finisce la sua "colpa", quando inizia la tua?

Scalpita tutto un reggimento di neghittosi
fucilieri, miranti di precisione
e con la cavalcata fiera;
gli arcieri del Tempo.

Eccoti rincasare, una sera, fra bruschi
giri di maniglia, e la mia tentazione
di accoglierti.
Faccio il serpente che ti porge il frutto
della tua umanità.

Strabocca la piena del tuo viso;
l’hai già mangiato. E quando?
Che ti hai detto? Che è stato?

“C’è un altro, un altro!
E’ finita.”(?)

Torni bambino,
e ricresci da una bambagia di lacrime.

Amore, fiducia ? Chiedi.

Quale?
C’è solo una lunga, sanzionabile corsa.

(a mio fratello)
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