Avrei potuto continuare a cercarti,
come quando, -lo ricordi?-
per te ho corso chilometri
in salita,
spossandomi ai raggi
che quasi mordevano,
scampando gli oltraggi
di parenti e invidiosi.
Solamente per notare
quanto misera fosse
la distanza fra due pensieri.

Avrei potuto alleviarti prima,
quando ancora di fronte avevi
l’ebbrezza di due boschi
popolati da bei sogni,
ognuno colto alle vertigini di due ponti
di cui uno solo potevi attraversare,
e dirti:
“Scegli l’altro”.

Avrei potuto stare ad ascoltarmi,
stornare dalla corrente che l’impeto segnava,
attirando su di se lo zefiro del sonno,
che al mattino, come un nodo troppo lento,
si scioglieva dalla mano.

Avrei potuto confidarmi d'un colpo,
pagando il pegno alle più giuste
parole:
Calore, Rispetto, Armonia,Verità
tutte in fila, le creditrici,
al varco di un mio pianto, anche confuso.

Avrei potuto così liberarti,
liberarti da cento, mille frane;
dalla fatica del mio silenzio
dal fango del mio sprezzo,
dalle serate in solitudine,
dal martirio della notte,
dalla febbre dell’impazienza,
dal rogo d’ogni intenzione,
dal degrado di promesse,
dalla catena e dal forcone,
dalla frode di te stessa.

Avrei potuto confessartelo più tardi,
-mi avresti preso per uno sciocco-
dell’amore che da ogni parte mi hanno raccontato,
come una manna che ricopre le tue orme,
ho sempre ignorato quel senso che sta dietro;
l’amare.

Avrei potuto affondare la tua sfinge,
scuotendo ciascun imperio
dell’illusione,
come un tappeto logorato;
e tuffarmi a congiungere daccapo,
con la sola mia ragione,
il principio d’ogni bacio.
Proprio come quel ragazzo non notato
che muove passi adunchi, e a ricreazione,
s’appoggia al muro a meditare.