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Pubblicata il 29/11/2008
M'impose il destino catene ai polsi
d'acciaro fino,serrate con chiave
a venti giri,pena e fantasia.
Vagavo can per l'aia giovinetto
del baratro ai pie' del recinto ignaro
pur contento del segale piu' amaro,
finchè al menar non fu sempre piu'stretto
quel covil,cara alcova di follia;
si udivano gli spettri dalla nave.
Io schivo e renitente non mi volsi
per piu' notti,ma dal richiamo infine
vinto e schiavo bramavo oltrepassar
la siepe,che prigione ora parea,
a pel di scoglio in fondo alla marea
e fra l'onde fresche e i flutti nuotar
in dilaniate acque oltre il confine.
Forte mi sentii tirar d'improvviso,
allora io pur allo stremo tirai
fino a squarciar le membra che copioso
colava il sangue e il pianto,roso
io piu' che i legacci;smetter giammai
tanto tirar giurai,avrebbe il viso
gli occhi aperti avuto e speranza intanto;
Sogno febbrile,futile miraggio.
Mani e piedi mi strappai accecato
dal rimorso,plagiato dallo scrigno
del mare,sperso moria e squartato.....
E nel che monco li stava gettato,
e bagnava il conato il labbro arcigno,
per insperato,inscernito e fatato
prodigio alle spalle spuntar a raggio
nivee piume a disegnar ali tanto
forti,inquiete da strapparmi al terreno
e non l'abisso ma nell'aere terso,
felice per la prima volta;in alto
ancor di piu' e dopo uno un altro salto
nell'immenso,araba fenice.Perso
fluttuva in praterie di sereno
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veramente bella,pare scivolare tra le labbra la lettura,saluti

il 29/11/2008 alle 22:31