le poesie non mi toccano più
le ho rinchiuse nel sottotetto
tra i ricordi svaligiati, sventrati da polvere, abitudini da ragni e cerimonie
di scarpe andate
ma quando piove
la malinconia mi sfronda le tegole
sensibile come un mignolo,
ridicolo come un dondolo
così tergiverso
o tergicristallo
e vado via in qualche posto dove il mondo è così nitido, piatto e compatto
da farmi sentire puerile il peso
del mio anfiteatro di cartone in fiamme
nemmeno bruciato;
nascosto male.
eppure il diluvio ancora fluisce
mentre la musa canta ubriaca
dentro le mie dita elettriche,
stanco e distratto
sento i rimbombi dalla cantina
come un vecchio si accende la pipa senza memoria
lo sento pronto a lasciarsi dal trampolino
a peso usato come un proiettile morto
schiacciando l’arbitro senza fischietto
sotto gli strati di coscienza soffice
placare virtude
soffiare invidia
senza motivo che non sia rumore
fragranti e fragorose sconfitte
sillabe di incubi al cloro
lacrime di polistirolo
una dimostrazione di inerzia;
violenza pura.
ma perlopiù
vedo vecchi come vite coperte dai calli
spariti nelle loro stesse esistenze
come lumache messe a bollire nel guscio
senza ritmo e senza rugiada
tra pan pesto e scontrini
mentre io vado in giro a portare le virgole a far la pipì
facendo le prove
sperando in una nuova ansia di ottobre
o in qualche miracolo da schivare
colpevole come un sadico a carnevale
mi scuso
e penso che dopo ci riproverò
che dopo sarà il momento giusto
mi riprometto
dopo, sicuro
sicuro, dopo
dopo di dopo
di dopo in dopo
e poco dopo
un dopo di fogna
finchè un bel giorno lo senti squittire
apri la porta ed eccola lì:
incollata a terra appiattita su un quadrato 20 per 20 di colla bianca mediocre e letale abbastanza
da impedirci per sempre
di essere via.