Avrei preferito una famiglia unita
intorno al tavolo a Natale,
avrei desiderato fotografie con volti
sorridenti ai compleanni, e scale
qualche volta da scendere,
e non solo da salire
e avrei voluto solo ieri al telefono
a mio padre saper cosa dire.
avrei preferito non smettesse mai
l’abito rassicurante della normalità,
avrei desiderato che, una volta schiavo del limite tra
coscienza e delirio, non avesse cercato la mia pietà.
ma se ci sono molti modi di raccontare bugie,
e qualcuna me ne ha forse raccontata in questi anni
avrei voluto non mi chiedesse scusa per il presunto
odio annoiato di mia madre, le pene e i malanni.
avrei preferito non mi pregasse di divenire
un sapiente che colma il suo vuoto,
avrei desiderato che la sua immaginazione
vagabonda non arrivasse a uno scacco finale, all’ignoto
e se nella sua vita si sentiva tradito da Dio
e, questa è una storia già accaduta, io ero l’appiglio
avrei voluto che quanto appreso dagli anziani
lo avesse portato solo a chiedere aiuto a suo figlio.
avrei preferito non si fosse arreso alla massa con cui
è costretto a condividere il tempo il poeta geniale,
avrei desiderato mille e mille giorni di sentirlo
genuino, mai ciondolante in un ombroso viale.
ma se ci sono molti modi di raccontare bugie,
e qualcuna me ne ha forse raccontata negli anni
avrei voluto non avesse pensato di affidare alla folla
invisibile delle parole gli acciacchi e gli affanni
e il suo ricordo, dovendo commuovere il lettore, a una
vecchia macchina da scrivere trovata da un rigattiere.
avrebbe solo dovuto afferrare forte, come lui, la vita
quando l’alba debole e incerta raggiungeva il cantiere.
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