PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 02/05/2007
Con un balzo m’infilo pantaloni e t-shirt,
afferro alcune banconote stropicciate
dal tavolo di cucina
le clarks scamosciate
e finisco di allacciarle in ascensore,
manca qualcosa…
…non ho ne orologio ne documenti,
per l’identità non ho dubbi
ma ho bisogno di sapere l’ora,
il verde smeraldo della farmacia all’angolo
mi rivela segreti ben più occulti
trentadue gradi di un luglio torrido;
sono quasi le undici
non so, non capisco
un’inquieta sensazione di essere in ritardo
m’attanaglia e s’attorciglia nella mente;
arrivo in piazza e salgo su un taxi,
si gira mi guarda apatico
è in attesa della mia destinazione,
non so che dire,
un istante di lucidità apparente
e nuovamente idee confuse,
forse un aeroporto, una stazione,
sogghigna e si mette alla guida,
mi irrita che avrà da ridere
costantemente comparsa di viaggi altrui;
sono le dodici
la stazione è ghermita da una folla di gitanti
sovraccarichi di borse frigo, materassini, ombrelloni, radio portatili e suppellettili varie
m’incuriosisce una grassa signora
dal finestrino saluta una ragazza,
forse la nipote ed il suo barboncino champagne,
è un intercity cerco in vettura la buffa signora
non la trovo mi siedo
mi racconta la sua tesi
sulle influenze bizantine nella architettura romanica
la mia imposta compagna
è una laureanda in architettura,
ho un gran mal di testa
al sesto secolo crollo
gli altri otto sono un monologo,
mi scrolla mi chiede dove scendo
ancora quella sensazione ansiosa
chiedo l’ora sono passate le tre
mi spiace di essermi perso
l’assedio dei turchi ottomani
sono rapito dall’assenza del controllore
forse si è nascosto
per un momento comprendo il suo disgusto
con un cenno mi separo
dalla fautrice di Bisanzio
peccato ha un bel sorriso
me ne accorgo solo ora;
ho i crampi allo stomaco
in stazione c’è un fast-food
preferisco un trancio di pizza
forse era meglio il digiuno
bevo un caffè
il vapore dell’espresso mi porta verso una trafila d’orologi
buenos aires new york roma tokio fiji
chissà quanti abitanti delle fiji
capiteranno qui per apprezzarne il gesto
decido per roma è tardi
almeno penso
mi accorgo di non avere più soldi
le dita cercano furtive nei meandri delle cuciture
niente
ritraendo la mano sento qualcosa
non in tasca ma in quel piccolo taschino inutile
del quale non ne ho mai capito il senso
d’un tratto ottiene tutta la mia attenzione
percorro al tatto prontamente il bordo
le mie fiducie si concretizzano in un bancomat,
ammiccando a me stesso
sono grato al mio disordine
cerco una banca
non conosco la città e mi perdo,
comunque raggiungo l’obiettivo
ritiro i soldi e chiedo ad un carabiniere indicazioni
lui sta peggio di me
l’unione fa la forza…..almeno spero;
troviamo un bar aperto
è domenica
il barista ci prepara due panini
finalmente qualcosa di commestibile
chiediamo indicazioni
questa volta tutto bene, ho camminato per cinque chilometri,
non me ne ero accorto
ci chiama un taxi
l’autista è molto cortese sarà per la divisa del mio socio
dividiamo la spesa
una stretta di mano
lui Milano io ci penso;
acquisto un biglietto per l’eurostar
secondo binario posti liberi solo in prima,
il tipo della biglietteria deve essere a fine turno
sembra un automa,
riflettendoci mi sento più burattino di lui
e mi accorgo d’essere spossato,
un altro sprizzo di flebile lucidità,
cosa sto facendo,
il treno è annunciato in partenza
mi precipito al binario;
cerco il posto, lo trovo
faccio per sedermi quando dirimpetto
con slancio sicuro si presenta
dottor……
farfuglia un nome con troppe casate
per potermi interessare
tale parlamentare di Bruxelles precisa
bene invento nome, cognome e chiedo l’ora,
sono quasi le otto sono preoccupato,
mi espone la sua teoria su
destra sinistra centro e periferia
con un po’ d’impedimento lo fisso per alcuni minuti
non per un senso d’inferiorità
ma non ricordo se è un allenatore o un politico,
forse un rappresentante di aspirapolvere
o forse tutti e tre,
mi sforzo di seguire il suo ragionamento
ma praticamente mi disinteresso quasi subito
il suo ronzio continua a lungo
sono distratto dal tramonto sulla campagna
che passa rapida in sequenza
il tempo si dilata e si contrae;
il leggero contraccolpo della frenata
mi riporta alla realtà,
allora scende a Termini
annuisco e mi allunga soddisfatto il suo biglietto
rigiro il cartoncino per alcuni minuti tra le dita
quasi un gioco di prestigio
inconsciamente mi diverte non lo leggo
finisco col piegarlo
un piccolo ventaglio poi lo butto;
finalmente scendo
fa caldo la stazione brulica
di personaggi degni d’un romanzo,
ne compro un paio
gwendoline riley non mi dispiace
è una tipa interessante
forse più lei di come scrive,
mi dimentico la fretta
seduto nel bar sopra la libreria
inizio a leggere
al quarto capitolo rinsavisco per così dire
mi colpevolizzo per averlo acquistato
ma riprometto di concluderlo,
quasi mezzanotte,
mi sento stupido
non so dove andare,
o almeno dubito di saperlo
è una condizione singolare
una sorta di sicurezza
costantemente mutevole e sfuggente;
gli alberghi nei dintorni sono tutti completi
ho cercato per un paio d’ore,
la stanchezza prende campo
un portiere di notte egiziano
mi offre un caffè,
la sua tolleranza m’imbarazza
io mi sarei buttato fuori,
invece chiedo una matita
ringrazio e salgo sul bus della fermata antistante
sta per partire è il notturno
praticamente una sorta
di grand tour by night;
troppo stanco per avere sonno,
la seconda scelta era gravata su Pessoa
d’altronde chi meglio dell’eccentrico iniziatore
del letterario viaggiatore dell’io
poteva meglio accompagnarmi in questo percorso
apparentemente sconclusionato,
il conducente seguita ad interessarsi
con furtive occhiate ora insofferenti,
ora incuriosite poi del tutto indifferenti,
sottolineo frasi, annoto commendi
e considerazioni paradossali;
scendo è giorno mi bruciano gli occhi
ho come l’impressione di sapere dove sono
cammino barcollante
mi siedo più volte su muretti e soglie
osservo brevemente due gatti contendersi la preda
vorrei fare qualcosa
ma ogni azione sembra impraticabile,
all’estremità della via c’è una fermata della metro
sull’orlo esterno di periferia.
Alle dieci del mattino del tutto sfiancato
mi lascio cadere su una panca simil legno
confusa nell’immagine si presenta
capelli chiari occhi verdi e lentiggini sul viso
lenta siede accanto
nuda di inutili parole
porta la mano al petto
e il capo sulla mia spalla
fisso lo sguardo pigramente
sul pannello degli arrivi
dopo il tutto
torpidamente si confonde
chiudo gli occhi mi abbandono
inizia il viaggio.
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bene,sono stata come un 'ombra dietro al tuo fiume in pena,respiro la fine dell'agitazione e l'inzio del sollievo,e ti auguro il più bel percorso,mi piace il tuo canto cavaliere moderno errante ,ciao ariele

il 02/05/2007 alle 10:16

Un lungo viaggio nella variegata realtà umana, con incontri, sguardi, riflessioni, soste e riprese, fino alla chiusa che porta all'inizio di un percorso di profonda interiorità.
Un saluto, mati.

il 02/05/2007 alle 22:23