PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 09/03/2006
Ieri:
"Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi.
Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande; Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più".
(Matteo 2,16-18)
Oggi :
la strage non cessa; Rachele intona, ancora, il suo triste canto, e l’uomo non cambia.

Poesia in terzine:



“Issate le lance , sguainate le spade”
che non sarà alcun pargolo in giro”.
Quest’urlo s’ udì dalle betlem contrade.

“Erode comanda, togliete lo spiro
ad ogni piccino, guerrieri ,
ognun d’essi mettetelo a tiro”.

La terra si smosse sul calcar dei destrieri ,
l’ aure di fango si farci , e sabbia,
e lame di ferro, siccome sparvieri

s’avventaron con rabbia:
la morte trionfante galoppò il deserto;
ogni piccola vita fu in gabbia.

del ferro, ne fu il concerto,
cori di pianti ne accompagnaron le note
Tutto il rumore parve sconcerto.

Il pallor si scorse su quelle piccole gote;
getti di lacrime, in un rio,
le madri versaron e restarono immote.

E flutti di sangue, e morte e delirio
in ogni loco del probo villaggio:
sul colle e a valle, ovunque fu martirio.

Viltà sublime, non coraggio
mosse quegl’ omini empi
nel compier un sì fatto oltraggio:

Non vi fu omo che non fe’ scempi.
Che si rammendi per la memoria
fu cupo sovvenir per tutti i tempi.

Ancora un lutto donato alla storia:
la daga, col danzar arzillo
scagliò la sua impetuosa ira

su ogni acerbo inerme fanciullo
,il qual, del verbo non conoscea il sapore;
su d’esso marcò il suggello.

Solo Rachele si udì nel fragore.
L’ urlo che duole squilla perenne
e niuno conforto ne lenì il fervore.

Si tolse la luce al quadro solenne
Per via della cupa nebbia, la qual si frappose,
Tra il compunto sol e quel che rimase indenne.

Ma parlar par vano ,giacchè si tante cose
si potrebber dire invano, ma basta dir : di vermiglio
si colorò la ove il guardo si pose.

L’ erebo trovò il suo giaciglio,
il quadro ultimo fu cupo e cocente:
un amplesso di salme in un tristo groviglio.

Ma destati ora, mira il presente
Scorgo nebbia, e odo Rachele urlare tuttora,
nonché il sangue, ma non il fendente

delle spade, ma foco che divora
ogni omo,donna e qualsivoglia fiera sia:
solo macerie di ogni dimora.

La morte adesso è più facile che pria
poiché il cavaliere d’essa
ha affilato di gran lunga la sua armeria.

Non più il tintinnio delle lame in ressa,
ma boati tonanti , folgore, liquefanno:
quel che è sul lor sentiero cessa.

Piogge assassine, tremore e inganno
sono espressione dell’odio odierno
che assieme al rogo ogni cosa disfanno.

Il canto distorto del pianto materno
asseconda il crudo frastuono e la stratta ,
che dianzi fece l’inno d’inferno.

L’aria, di fango, di nuovo si imbratta
nebbia e fumi l’aria infittisce:
a destra e manca, l’ imago è disfatta.

Dopo il boato, per un niente, tutto zittisce,
poscia ogni cosa è rosso e deforme,
gemiti e deliri: il sonito che stordisce.

Scorre la storia , con le sue orme.
Il sol maestro dell’omo: il costume malsano
di come rendersi all’empio conforme.

In Rama s’è udito un grido umano
e di Rachele, con le sue note, il suono
ogni conforto ormai è vano

a lenirne il pianto, giacché i figli non sono.

  • Attualmente 5/5 meriti.
5,0/5 meriti (1 voti)