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Pubblicata il 16/08/2005
TAIDE



Dei tuoi luoghi, starli a sgocciolare
magari in artifici baciati!
Mi pare banale: invetricarmi in vezzi strani.
Tu che t’accori o fischietti
allo stereo sul sedile
di destra. Tu che t’accóccoli
sul pianerottolo appena dietro il portone.
E anche schivi le pozzanghere
della strada, dove io sbandato metidabondo
le pisticchio e m’illercio l’orlo...
Vedi? Disattengo e vinci!
In altre sei riuscita. Tu,
Taide, puttana
Adulatrice.
M’estasi coltrerea
odalisca dei fumi.
Languida sirena tra il
vetro. T’irrosi subacquea
e risali; petalo.
Se posso t’investo
di pianto e dolcezza.
Già immagini di che terra
sarà la tua maschera:
forse l’ultima, o quella
impietrita e vecchia o un’altra.
Sì, te odo di solito se mi rivesto
e suado con una carezza.
Ma se, didentro la scaglia
ceca palla disargina, sai che il suo
svolgimento stringe. Crepo.
E tu, boico batacchio m’assalti.
Cedo, neppure serro il ciglio: sfinito.
Ti prego desolato amico!
Squilla cara voce lontana!
Cadimi in braccio nuovo, luminoso sorriso!
Ma fuori spingi e vado trasciandomi.
E ben, con te non schiaffo questo muso
contro un mattone se schifo.
Ma osserva, stavolta io: resisto.
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