Il piazzale nella sua veste
metallica, la spande rosastra
da una lampada
allo iodio, fa ammiccare i fanali
della macchina con un sorriso avido
e cattivo.
É l’invito. L’aiuto
degli occhiali poggiati
nel chiaro della scrivania;
ingrandiscono un rigo illeggibile
sepolto nella grafite.
Dal nero del cielo scivola
una musica che suona sulla terra.
Ferma il pensiero che torna
in un cavo di buio.
Ed il perpetuo cadere, riesce da qualche parte.
Sfuggendo, la fossa si fa piccola,
si sparte
tra 2 fonti di stelle
disperse nei tempi.
Che ora si ombrano cupe
e vengono male
nella foto mentale.
Cose che contemplano
il sarcofago di vuoto che scoprono.
E sanno che non servono fin quando
neanche vi è verso
di tenersi un libro in grembo.
Allora chiude,
spegne la luce...– ‘notte –
Là s’acquatta il niente
urla che puoi.