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Pubblicata il 20/07/2005

Di certo non l’hai mai visto
il fluire lento e denso.
Nella plaga, un tiro di sasso
d’ogni casa.
Prigioniero di due argini petrosi
d’argilla brunita e scarna,
fessa dall’alito suo, fetido calore.
Atterrisce e limita
che vita si prenda in turgore.
Al suo corso, son sconosciute le soste
non esistono affatto alcune rocce.
Che freni, lo sprizzino furente
tutto corpo è, senza anse e stretture
senz’affluenti.
Da che guardi, non saprai mai dove
che sia la foce
e laddove nasca la sorgente.
Vedi solo, un monoton fosso,
e senti quell’odore
che raspa via la frescura
e t’immonda con afoso sudore.
A volte poi, noti un fossile,
che pare che soffra...
É solo un morto fusticino d’alberello,
secco carboncino vecchio,
striminzito pietoso orpello.
Forse un remoto tempo, la sua linfa
per la costa scivolò via.
Giù negli anfratti delle crepe dure
afferrata dalla lingua di bitume.
Osservalo per la prima volta:
sembra che sia lastra
in superficie scagliosa di crosta.
S’avessi cuore di toccar lava,
t’accorgeresti, di una appiccicosa
e tiepida, lasciva bava.
Eh guarda; cos’è quel coso che sporge,
quel relitto, come un pennacchio?
Par che mandi un saluto
che fosse un braccio?
Che le oleose ceneri
fecero più irsuto?
Penso, un altro frutto di morte,
non che una delle tante gonfie carogne.
L’aria di qui, ti stanca il viso,
andiamo e, verso la plaga puntiamo
attraverso il rosso malato
dell’alto sole in fronte,
morente ribatto dal tufo
slavato col soffiar ventoso
che lo smuove in onde.
Dici che non l’hai mai visto
quest’álveo defunto, desolato,
stupido a capirsi paesaggio senza
tempo, disperato.
Ma la plaga,
è a un tiro di sasso
d’ogni casa.

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