travolto dalle cose più piccole;
lascivo, tra gli sguardi mondani,
perso a tal punto da tener le mani
sul viso, per l’onta in fiaccole
che accese il pubblico teneva,
mostrando biasimo, per ogni parola
che liscia in assenza di una scuola,
baldanzosa, tinnendo, oro vedeva.
Ma per far brillare i nostri preziosi
abbisogna guadagnare la stima,
di critici che osservan la rima
e non, sovrapporsi come oziosi.
Io, questo, quell’altro, indicandomi
come appestato, vate mancato
serti di spine, re dimenticato
di lor convenzioni insozzandomi.
Ripulsa cedere, l’anima sola
s’infuria, tossendo il rancore
sputa angoscia e un urlo tenore,
poi, la bonaccia che l’astio immola
placa il mio tortuoso pensare;
forse, non vedono le immagini,
le rughe sui volti, le fuliggini,
tornano a schiudersi, ad andare,
nuove parole, nuovi fati, tesso,
come trame incrociate di veli,
come gusto ridondante di mieli
non per loro schiavi, ma per me stesso.