PoeticHouse - Il Portale dei Poeti e della Poesia
Pubblicata il 24/02/2002




Non è un viaggio,
questo tipo di
esplorazione
programmata ha
regole precise e
limiti, tutto
grazie alla
questione delle
responsabilità:
il vagare è quasi
sempre di gruppo,
è turismo di massa
che mi irrita e mi
esaspera, è la
dipendenza da terzi
che non sopporto.
Durante i viaggi
verso le mete
preconfezionate e
assicurate per
l’accrescimento
della nostra cultura
e del nostro spirito
restava sempre indietro
qualcuno, o c’era da
riposarsi: allora
c’era la sosta.
La mia schiena
d’argilla mi costringeva
a sedermi;
guardavo intorno
e vedevo solo
carne sorridente
e mani muoversi
e sentivo voci
sfiorarmi e occhi
che mi toccavano
per un attimo,
mentre soffiavo una
boccata di fumo
verso il basso,
aspettando qualcosa
che motivasse la
partenza successiva;
mi chiedevo se ci
fosse qualcuno tra
di loro che potesse
solo intuire quello
che mi schiacciava:
non c’era,
lo sapevo e
non cercai molto;
non ci spero più
ormai da un bel po’.
Mi importava solo
sapere che presto
si sarebbe ripartiti
e solo sperare che
la sosta successiva
fosse il più lontana
possibile,
perché tra una sosta
e l’altra avevo
le sigarette,
un paio di buoni amici,
un placebo a cui pensare
e una città da capire;
nella sosta invece
c’era il dramma
dell’immobilità:
impossibile non
essere catturato
dai miei pensieri,
impossibile
sfuggirgli
da fermo.
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