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Pubblicata il 08/12/2003
“E allora Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”

Poiché la vita è un lancinarsi lento,
dolorante, poiché l’anima mia come un monatto
pellegrina per i lazzaretti, poiché dal sangue
e dal ventre violato d’una donna
ereditai questa carne come uno scarto di macello,
volgo gli occhi a te, vecchio Padre.
E tu distogli gli sgomenti occhi
dagli uomini felici, da chi è amato.
Per l’ombra tua deforme che s’accascia
sulla terra, come viscere d’insetto,
e per l’ombra tua deforme che discende
da quella croce, supplizio per noi mostri,
con tre braccia, o con nessuna:
sei mio fratello, vecchio Padre.
Io t’ascolto quando piangi, come un cane
ascolta un cane che guaisce, con mestizia senza senso.
Gli uomini felici, i fortunati, hanno idoli di pietra
per aprire i mari e gravare sulla storia, ma tutto è falso
come la loro tracotanza di titani.
Noi siamo figli dell’increata notte
e del dolore, Tu Creatore devastato dal travaglio,
io angelo deforme.
Due che insieme hanno sofferto si dicono fratelli,
non c’è altra fratellanza: perciò i felici, i beneamati,
ti temono o ti sprezzano, e io solo ho compassione
del tuo cuore. E Tu del mio.
Il mio spirito procede, verbo ammutolito,
dall’orrore dell’esistere.
Striscio per il mondo, con la gogna al collo,
come un monito deriso, un presagio non creduto.
Dal fondo dell’orrore sale il mio contorto grido
per chi è lieto, per chi ama ed è riamato:
ma nessuno ascolta.
Vogliono le tenebre piuttosto che la nostra luce
cadente e sanguinante.
Quante volte bevemmo i loro sputi!
Ricordi quando il loro riso ci mordeva?
Maledetti loro e i loro figli, belli come loro,
maledetto ogni respiro della loro gioia,
maledetti gli amplessi degli innamorati,
maledetto il viso delle madri sopravvissute al parto,
maledetta la vecchiaia senza pianti e grida,
maledetti i benedetti della terra,
maledetto ogni respiro che non sale dall’orrore.
Io vivo per la loro dannazione.
Dall’abisso della croce mia di carne e sangue
il lamento mio discende fino al cielo infimo,
dimora del dolore e dell’informe morte.
Sono potenti i guaiti d’un deforme
al cospetto della morte. Vivano
i prediletti della vita, sia per loro ogni albero
carico di frutti, dolce il sole della primavera
e l’amore delle spose, sia forte la prole,
la bellezza loro incanti il mondo, siano felici
e fortunati, beneamati e benedetti, ringrazino
i loro lieti dei, mai abbiano a sfiorare
la carne orrenda del dolore.
Così più crudele ancora sia il ghigno
inaudito della morte. Volgeranno il capo
e scorgeranno la grottesca Erinni, e sapranno che,
per quanto fossero aggraziati e lunghi i loro passi,
la morte li ha raggiunti, strisciando e balzellando
come un fenomeno da circo, arrancando con le unghie.
E quanto orrore squarcerà la loro gioia!
Al tocco della morte diverranno figli miei!
Delitto è essere felici, se io soffro,
orrore è la bellezza, a causa del mio orrore,
mortale peccato è vivere, perché io esisto.
Chi ha avuto molto, molto perderà,
e io non temo la diletta morte, perché da perdere
ho solo la mia carne.
Vomito il mio monito: che siamo niente più
che conati della terra, che tutto è come deforme
carne umana, e sanguina dolore, che Dio creò la via,
ma l’affranto cuore e la grinzosa mano e i ciechi occhi
non crearono la mèta.
E poi nulla. E Tu, vecchio Padre, astro delle lacrime,
dalla tua gabbia di cielo alla mia gabbia di carne,
perdonami l’esistere, come io perdono a Te.
Io sono un deforme Adamo, primogenito d’una stirpe morta,
sono la Tua immagine. Perché Tu sei un pover’uomo, come me.
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quanta cruda asprezza e dolore..perche'...la vita, l'Essere uomo e' anche altro..vero che lo s ai?

un sorriso di luna

il 09/12/2003 alle 17:06