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Pubblicata il 07/07/2003
- No, figlio, non so

quale via percorra il mare muto,

o gli inferi profondi, o le vene

del delfico loto,

e giunga ad Itaca diletta,

ad Itaca petrosa.



So solo del giardino soffocato di pietre

che mi donò l’abisso,

queste pietre che il vento già morto

mutila nel giorno -.



- Vedi, figlio: una ha forma di grembo gonfio,

un’altra è lata e fredda e livida,

ed è uno specchio volto al niente,

o, se credi, una vela trigona

morta al vento morto

e questa, in fine,

vasta e vuota e vecchia e senza forma,

scavata nei millenni con furia e senza senso -.



- Idoli acefali, che il vento sfigurò?

Solo pietre, solamente.

Non pregarmi per la bianca chioma

e per il ventre vizzo di vergine

e per i solchi freddi

che i vecchi inverni vangarono

sul grigio volto insterilito...

...non pregarmi, figlio, non so.

Il mare muto suona

del respiro dei naufraghi, miei figli,

e mio dono ospitale è il non sapere -.



- Osserva, figlio:

i miei buoi,

come vecchi inverni,

vangano un solco freddo

nella grigia terra isterilita.



I miei buoi

vangano un solco freddo

nel solstizio che pare senza fine,

muggendo al sole rosso così come si conforta

un morente antico e intestardito, senza senso.



I miei buoi

vangano un solco freddo

con sudore obliato e sangue rappreso,

traggono dimentichi l’aratro avito

all’orizzonte senza voltare il capo.



I miei buoi

vangano un solco freddo

finché venga il crepuscolo santo

e scacci lo spettro del vento

e si sgravino in polvere grigia

le rocce gravi di menzogne

e sia gravida la terra polverosa

di noi tutti

come di morti non nati.



I miei buoi, figlio, furono un tempo

come sei tu

-hanno sguardi d’uomo -



- Ora non più mietono

ciò che era:

solo il niente che sarà.

E t’osservano pietosi

-hanno sguardi d’uomo, ma di morto-

ora vangano un solco freddo.



Ora vangate un solco freddo.

forse, figlio, sarà come

se non t’abbia un padre dato un nome

e gli dei un’erma sfigurata per destino -.



Non vagiscono più, sono quietate

le vecchie creature, come pietre

che non sanguinano

mutile nel vento,

dormono i vecchi inverni

nel grembo della terra,

come secchi semi inariditi

che le feste ed i pianti ed i passi di Demetra

non trarranno nuovamente al sole,

alla maligna vita.



E Circe morirà bambina.

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Solo ora leggo questa tua poesia, molto bella nel suo incedere classicheggiante... bel debutto, complimenti. Ciao.
Michele

il 08/07/2003 alle 17:33

Grazie.

il 09/07/2003 alle 18:12

sai cosa ti dico,che non hai bosogno di commenti.
di solito io lascio versi a completare o a sintetizzare un pensiero mio sull'opera,questa volta resto ad ascoltare i tuoi versi...
posso solo darti il benvenuto,e diti,se non l'avessero anmcora fatto,che sei molto inm gamba,se vorreai un giorno leggimi,sarò felice di scambiare idee con te...a presto...D.

il 09/07/2003 alle 23:02