Come credere che diciotto anni
abbiano distillato il tempo da quel giorno?
eppure, è qui, intatta,
come un’eco che non cessa,
quella mattina grigia di novembre,
la notizia che fendette l’aria,
spezzando il fiato, e noi,
in corsa, verso le nipoti,
gli occhi aperti sul loro stupore innocente,
il cuore sigillato da una pietosa menzogna.
parole smorzate, come passi nella nebbia,
tentammo d’addolcire il vero
col fragile velo di un malore lieve,
ma il giardino ci tradì:
quel giardino, carico di presagi,
dove la gente, assorta e muta,
era il cerchio immobile del destino.
e lì, il primo abbraccio,
il grido che spezzava ogni distanza,
le braccia che si facevano radici,
a contenere l’onda del lutto.
poi vennero i giorni della veglia,
lenti e solenni,
pieni di preghiera e d’attese,
di strade che si aprivano nel dolore,
come fenditure nella roccia.
e su tutto il baluardo della memoria,
fiamma che nessun vento ha saputo piegare.
oggi ritorniamo su quel cammino,
le ruote scivolano sull’asfalto
che il tempo sembra aver dimenticato,
e il cuore, sospeso,
oscilla tra l’ombra del passato
e l’immensità di un’eternità
che non mente.