Ci sono giorni in cui il cielo non ha più confini.
A margini sfocati, le nuvole salgono dai campi, le strade tendono verso improbabili punti di fuga e gli occhi si riempiono di trattini indefiniti. Come pioggia.
È la nebbia.
Trasforma il paesaggio in una realtà distopica, parallela e surreale.
Un albero non è più un albero, tutto si fa silenzio, un meta, un liquido vettore in cui scene completamente nuove cominciano a muoversi e le macchine non le vedi fino a quando non ti capitano a tiro. Riduzione della visibilità, la chiamano. In queste situazioni la mia mente crea una parata di immagini incredibili e finisco persino per credere nella loro esistenza. Cose fantastiche e dove trovarle, una roba così.
Fatevi un giro qui da me.
Ci sono giorni che mi venderei all’incanto.
Proprio in uno di questi giorni mi aggiravo per il paese.
Erano le 08.00 del mattino, suppergiù.
Al bar mi ero fermata per un caffè, prima di andare al lavoro.
Avevo accompagnato mio figlio a scuola e già nel ritorno la nebbia non era più così fitta come all’andata. Sul rettilineo, solo una macchina dietro di me.
Il divaricarsi lento della strada su un’ampia rotonda mi precedeva.
Arrivando allo stop rallentai e misi la freccia a sinistra per entrare indisturbata nella rotonda e lasciare libera la corsia di destra che fu subito impegnata dalla vettura che avevo dietro. Mi fermai allo stop ma guidavo un suv e questo mi consentiva di avere una visibilità maggiorata.
Niente macchine, osservai.
Accadde tutto improvvisamente.
La macchina accanto mi superò per svoltare a destra ma io inchiodai quasi inconsapevolmente. Mentre acceleravo per immettermi nella rotonda, un brivido mi raggelò dalla radice dei capelli alla punta degli alluci: una mano da dietro aveva fatto pressione sulla mia spalla e una voce profonda e inquieta mi aveva intimato di fermarmi. Ripeto, inchiodai.
In quel momento una macchina nera che non si sa da dove fosse sbucata, a tutta velocità, mi passò davanti con un gran spostamento d’aria.
Riuscii a sentire la frenata dell’altra macchina.
Era più avanti di me di tre metri.
Quella nera aveva sterzato pericolosamente per evitare l’impatto (non riesco ad immaginare a che velocità potesse andare, si dileguò in fretta) e la persona della vettura accanto a me poggiava la testa sul volante.
Gli bussai freneticamente.
Trasalì, non aveva una bella cera.
Abbassai il finestrino gridando se andava tutto bene.
Mi sollevò il pollice così, tremando, proseguii.
Pensai a quell’episodio per tutta la giornata. Pensai a quella mano.
Alla voce che aveva viaggiato dal profondo fin dentro la mia testa.
Chi era che mi aveva evitato un sicuro tamponamento? Passai in rassegna tutti i parenti che non ci sono più. È che in certe situazioni le pensi davvero tutte!
Allucinazioni direbbe qualcuno. Spesso l’inconscio ci avvisa di un pericolo o ci mette semplicemente in allarme. Può accadere.
E se vi dicessi che in questi ultimi sette anni mi è successo ancora due volte di evitare un improvviso quanto pericoloso impatto?
Qualcuno penserebbe che ho una guida distratta.
Affatto!
Qualcuno penserebbe che vado in terapia ma non sta andando molto bene.
Non prendo sostanze eccetto il mio eutirox mattutino.
Allora…? Allucinazioni.
Ma sì, archiviamo così il file. Dovrei darvi troppe spiegazioni.
Non siete ancora pronti!
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