Si va dicendo in giro
che sarò un delinquente,
magari drogato e pazzo,
c'è un fondo di disprezzo
nei sorrisi della gente,
ma non me ne frega un **zzo.
Fra le sedici corde
sempre e comunque fu battaglia,
tra me e chi m'ha affrontato,
e anche chi infine come l'erba m'ha falciato,
a caro prezzo sul corpo mio è passato.
Sono ormai vecchio e stanco,
ma il mio attacco è ancora quello spaventoso
d'un Grande Squalo Bianco,
come una vecchia locomotiva a carbone,
sotto la grandine,
ogni ripresa spingo sempre più forte,
e a volte, col gancio arretrato,
fra le costole, a martello, colpisco così forte,
con tale violenza picchio a cannone, alla morte,
che, fra l'urlo della folla,
sordo s'ode il boato d'un colpo secco,
da mozzare il fiato,
e non sono più me stesso,
ma un Boxeador latino,
un assassino messicano,
un ragazzo di pietra, magro e affamato,
dal volto d'adolescente,
ed occhi duri come chiodi di bara,
che vide la madre curva
su panni e pavimenti altrui,
con le unghie, per la vita,
a grattar la terra destinato.
Da incosciente, contro il mondo intero,
da belva in trappola,
come poté s'è rivoltato,
e, a chissà chi, inasprito ed esaltato,
beffandosene della morte,
"viva Mexico, cabrones!!!",
grida sempre più forte.
Combatto per orgoglio smisurato,
e ben poco danaro,
è proprio che trovai nel Pugilato
l'unica fierezza che, di manica larga,
la vita m'abbia mai donato,
e sarei ormai un disperato,
se per viltà ci avessi rinunciato.
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