l giorno di Natale il mio corpo andava da solo, perché il cervello era impegnata nello sforzo mentale proteso a comprendere quali comportamenti avrei dovuto avere con il bambino e, nello stesso tempo, conservare quell'equilibrio che mi permettesse di vedere il mondo meno ostile, di come in effetti è veramente. Eppure il dolore non potevo nasconderlo a me stessa, un magone che mi stava liquefacendo l'anima, devastante come il crollo di una diga. Samuel mi chiamò dal soggiorno per decorare alcuni rami di un vecchio albero in giardino che, visto a distanza, sembrava un albero di pesche colorate, per via delle bamboline di stracci che in neanche un'ora riuscii a cucire e ad appendervi. La presenza di mio figlio mi alleggeriva la sofferenza e all'ora di pranzo fui costretta a raccontare storie, inventate sul momento, per fargli trascorrere la giornata in apparente serenità. Avevamo solo baccalà, zucchero e patate .Il povero pasto si trasformò nella pietanza preferita dal re: "Sire ecco il vostro piatto preferito, baccalà ricoperto di zucchero caramellato e dadi di patate come contorno!" . Samuel rideva ed io lo chiamavo il mio re: "Mangi la prego! mio signore!". Passò anche la giornata di Natale. Le notti erano lunghe, notti tristi, notti in cui le idee balenavano vertiginosamente senza riuscire a trovare soluzioni. Aprivo la finestra e passavo ore a guardare per strada, vi era solo silenzio; solamente alle prime luci dell'alba qualche ombra si muoveva, forse operai che andavano al lavoro; Mi piaceva stare lì, seduta sulla sedia, immobile a far niente, tenendo le mani poggiate sul grembo e gli occhi aperti all'oscurità, in attesa di qualcosa, di un'idea, neppure sapevo cosa avrei voluto che accadesse. Ero confusa . Il tempo fluiva verso l'alba e mi avvolgeva tanto da impedirmi di vedere, di respirare. Era irritante! Certe notti era impossibile dormire, perché a tutto il resto s'aggiungeva l'ululato del vento che frizzava nelle fessure delle finestre e sembrava volesse portare via tutto, pulire, spazzare. Spesso era martellante il ricordo di Costantin, il suo viso, la sua voce, i gesti, le risate, suoni che, nel dormiveglia, mi sembrava di sentire come fossero reali, come il gorgoglio della caffettiera in cucina e persino il profumo intenso della prima tazzina di caffè . Poi le lacrime che silenziose mi bagnavano le guance come rugiada sui petali di rosa. Avevo il cuore nero e triste. I giorni passavano e in casa non avevamo ormai più nulla, anche la legna scarseggiava. Dovevo andare in cerca di lavoro, dovevo agire, scrollarmi di dosso quell'apatia che mi rendeva diversa, io così tenace, inattaccabile. Il cielo era sempre cupo, nevicava lentamente in fiocchi che si depositavano per terra, sui rami degli alberi già appesantiti da quel bianco abbagliante. Ero abituata a queste giornate.
nevicava... nevicava.
con il bambino in braccio decisi di recarmi al paese. Venti minuti di un incedere lento, lasciando orme profonde su quel bianco manto. Finalmente un cumulo di tetti, da cui era stata spalata la neve di fresco, apparve davanti ai miei occhi; dai comignoli riccioli di fumo, grigi, volavano in alto, disperdendosi nel cielo. Andai di porta in porta, di negozio in negozio, tra quelle mille anime, a chiedere lavoro; nessuno aveva bisogno di me. Avevo la testa vuota, ero al massimo dello scoramento quando, con gli occhi pieni di lacrime, mi fermai sui gradini di una palazzina. Il freddo era pungente e avevo le mani intirizzite e insensibili. Stavo pensando di accingermi a rientrare a casa quando qualcuno, aprendo il portone di quel palazzo, m'invitò ad entrare. "Signora, si sente male? venga dentro a scaldarsi, a scaldare la sua creatura!" disse guardando Samuel che, nel frattempo, si era addormentato tra le mie braccia. Scoprii che la signora si chiamava Alina.
divenne per me un angelo. Prese a cuore la mia situazione e mi propose di lavorare da lei due volte alla settimana. Fu, per me, un grande aiuto. La mia vita divenne un'impresa da giocoliere, quella che tutte le mamme in difficoltà conoscono, ma il vero filo conduttore della mia esistenza, in quel momento, fu l'attesa; l'attesa che qualcosa cambiasse, che il padre di Samuel tornasse a casa, almeno per lui, per il bambino.