Me ne stavo seduta sul cemento
armato della rotta "Futura",
a contemplare le antiche rocce
lassù, sui monti lontani
senza incise orme umane.
chiudevo gli occhi trasognati,
in balia di un morbo azzurro.
quale gusto m'ha palpato
la lingua nei tempi tinta seppia?
briciole di pane e di martirio.
cigolii di un passato atroce
nel palato ingenuo. Suon
di verdure stagionate, liquor
nell'animo polveroso, lavanda
al biancospino, libellula rurale!
gli echi sottili delle mie labbra
impregnate, dolcemente
abbandonate. Palato stordito,
invulnerabile al mellifluo sapore
dei tuoi baci ingannatori, ah!
le montagne mi parlano, i cieli
mi sussurrano, le orme infossate
degli antichi adulatori bisbigliano
parole inconfessate. Gli esseri
tutti cantano inni di letizia!
la Luna almanacca alle mie mani
ch'accarezzano un cereo foglio,
il silenzio consente ad esser mio
quando gli uomini gridano
le loro miserbili incertezze, ah!
io, invece, finché quest'ambrosia
scorrerà fra le mie rosse radici
ingrovigliate, come sangue vivo,
sarò dominatore dei frastuoni
umani, mediatore divino, ah!
cieca e sorda, col corpo steso
sulla brezza antica, a ricercare
le mie morte parole. Senza corpo,
sola anima errante fra i monti.
guidata dal terzo occhio del poeta.